giovedì 13 gennaio 2011

AFGHANISTAN, A TU PER TU CON L’A.N.A. AFGHAN NATIONAL ARMY


Bala Baluk – 28.12.2010

Si continua a respirare polvere nella base avanzata di Bala Baluk. Dopo un briefing tecnico, con il capitano Simonetti parliamo dell’attuale situazione in cui versa questo quadrante dell’Afghanistan meridionale. Ci spiega le diverse forze militari che ora, attraverso la missione Isaf, hanno la possibilità di far rinascere il paese. Non solo l’esercito italiano, ma anche l’Ands, Afghan National Defence Service e l’A.n.a., Afghan National Army, l’esercito afghano per intenderci. Ci colpisce una sua frase: “non si potrà mai costruire il futuro se non ci sono le coscienze individuali, formate dai valori: il senso di nazione, lo spirito di lealtà, il principio di dignità”. Il riferimento è diretto, chiaro, pesante, se vogliamo. Pensiamo ad un popolo, a quello che è rimasto di esso, e che tenta di sopravvivere attraverso mille espedienti. Statistiche provate parlano di un alto tasso di corruzione tra le forze afghane, che cercano di guadagnare tra i soldi degli “internazionali” e la fiducia degli “insurgents”. È quello che potrebbe accadere in un qualsiasi villaggio, a Tak Tahemur, per esempio, dove i militari locali non intervengono per sanare la società dalle infiltrazioni dell’estremismo talebano. È troppo rischioso per loro e per i loro cari. La minaccia non si fa di certo attendere. E così o si dà loro il tempo di fuggire e poi si interviene; oppure l’operazione di “pushing”, vale a dire di “spinta” dei cosiddetti ribelli verso il Gulistan, dove lavorano i nostri alpini, salta. Incontriamo personalmente Big Murad Murad, tenente colonnello comandante del Kandak (battaglione) afghano, vicino di casa della Fob italiana a Bala Baluk. Ci parla delle difficoltà del suo paese e dei suoi soldati, costretti a vivere in una caserma fatiscente, in condizioni igieniche poco dignitose e con armi e divise che di battaglie sembrano averne fatte molte. “Il problema numero uno – spiega il comandante Murad- resta quello della sicurezza: a Bala Baluk, come in tante altre zone dell’Afghanistan. I ribelli non si arrendono e sono pronti a tutto pur di non arrendersi alla cacciata”. L’ospitalità afghana è pari a quella di qualsiasi altro paese orientale dove il forestiero è sempre il benvenuto, e guai a rifiutare l’offerta. Tra un thè e un dolcetto tipico, chiediamo quali sono i rapporti tra l’esercito italiano e quello afghano. È lui stesso a parlare di collaborazione e di militari dal volto umano, pronti ad aiutare la popolazione: dalla distribuzione di coperte ai disagiati, ai tanti progetti portati a termine a Shindad. Tra questi, il corso di computer e di informatica per le donne afghane, il processo di scolarizzazione per i bambini e la costruzione di un campo da calcio, virtù italica dove non siamo secondi a nessuno, per avviare i giovani allo sport. Il clima conviviale e di conversazione è rotto dalla domanda gelida di Daniel che senza mezzi termini chiede se l’esercito afghano è pronto ad andare da solo, senza Isaf, se l’Afghanistan è davvero autonomo senza Isaf, considerato che il 2014, termine annunciato dal ministro Frattini e dal Presidente americano Obama, come fine della missione, è dietro l’angolo. La risposta è delle più diplomatiche: “Non posso rispondere ora- tuona il tenente colonnello- ci vuole tempo. L’esercito afghano per ora non ha una sua organizzazione, non ha un parco armi come l’esercito italiano o come Isaf. C’è bisogno di una leadership capace, con comandanti che vogliono davvero il bene di questo paese. Quando andranno via gli internazionali, è necessario e indispensabile che continui il loro supporto economico”. In altri termini, potete anche andare via…ma i soldi, no quelli ce li dovete lasciare.

Mirko Polisano

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