martedì 30 agosto 2011

Primavera araba: chi gestisce la fase di transizione? Il commento di Salim Ghostine

Il mondo arabo, attraversato dalle rivolte della cosiddetta ‘primavera araba’, continua ad essere in fermento. In questa cruciale fase, successiva anche a decennali governi autoritari, Stati come Tunisia ed Egitto cercano di trovare risposte ai lati incompiuti della rivoluzione. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con Salim Ghostine, giornalista libanese:

"C’è una fase di transizione, e qui incominciano i dubbi: da chi è gestita questa fase transitoria? E’ una fase in cui non si è ancora strutturata bene l’alternativa politica, perché in presenza di dittature che sono durate 30 o 40 anni, chiaramente la vita politica è ormai ridotta a meri simboli nei partiti. Dunque bisogna reagire presto ma soprattutto avere protagonisti che siano in grado di reagire bene e presto. In Tunisia, per esempio, proprio ieri c’è stata una manifestazione non di giovani disoccupati, ma di avvocati e magistrati che sostengono che la magistratura, chiamata a giudicare le ingiustizie del passato regime, è tutta schierata e dunque chiedono una magistratura libera. Ecco, dunque, che lo strumento per pulire la ferita ancora non c’è, per quanto riguarda la Tunisia. Per quanto riguarda l’Egitto, c’è un altro tipo di problema: Mubarak non c’è più. Ma chi sta guidando la fase transitoria? I militari. Qualche analista, nei giornali arabi, dice che non è stata l’opinione pubblica a rovesciare Mubarak, ma un “golpe di palazzo”, cioè i militari che per non perdere il controllo della situazione avrebbero spodestato Mubarak ed ora stanno gestendo – loro – il “dopo”.


D. – Vuoti da colmare, ferite ancora aperte, lati incompiuti … però, la “primavera araba” sembra lasciare ancora irrisolta, tra le altre questioni, una cruciale, cioè il rapporto tra Stato e religione: una relazione che si riflette anche in diversi ambiti, non solo politici ma anche sociali e culturali?

R. – Culturali, per esempio: siamo nel mese del Ramadan, del digiuno islamico. Questo è un periodo in cui i musulmani restano a casa per via del gran caldo; dunque è la stagione della produzione televisiva massima. Ebbene, c’è un serial televisivo prodotto da una casa cinematografica del Qatar, che è intitolato “Al Hassan e Mu’awiyah”. Praticamente, racconta la fase cruciale della spaccatura dell’Islam in due: sunniti e sciiti. Ebbene, quello che doveva essere un semplice serial televisivo di intrattenimento – o di cultura – per i musulmani digiunanti, osservanti, nelle loro case, è diventato un caso politico. I governi arabi stanno intervenendo e addirittura il Parlamento a Baghdad, in Iraq, ha trovato modo di riunirsi per dibattere di questo serial televisivo e per dichiarare che è vietato trasmetterlo sui canali iracheni. Questo per dire che è praticamente impossibile estromettere la religione dalla politica o dalla cultura nel mondo arabo di oggi.

D. – Il mondo arabo di oggi sicuramente è in fermento. In particolare, le rivolte possono rivelarsi anche il motore di un cambiamento della condizione della donna, sia all’interno della famiglia, sia nella società, o permangono ancora delle resistenze, in questo ambito?

R. – Possiamo parlare di fatti concreti. In Egitto si sono viste molte ragazze che hanno manifestato; in Tunisia, la donna tunisina ha svolto un ruolo di prima linea; in Libano, il Parlamento non è riuscito a eliminare una delle piaghe delle società islamiche, e cioè il “delitto d’onore”: il Parlamento libanese sta discutendo ancora e l’unica cosa che sono riusciti ad ottenere è l’eliminazione delle “attenuanti generiche” per chi compie un delitto d’onore. Quindi, quello che vediamo in televisione è un processo democratico, ma la democrazia non è semplicemente l’elezione: la democrazie è un’evoluzione del costume, anche a livello sociale. (gf)


da www.radiovaticana.org



martedì 16 agosto 2011

LIBANO, APPUNTI DI UN VIAGGIO...





Ogni viaggio che si rispetti ha bisogno di un suo bilancio. Lo fai quando rientri da una vacanza, da un’esperienza all’estero, da un qualcosa che per te è importante. Già dai primi giorni, ho capito che la percezione di questo paese è cambiata. E non solo dal punto di vista del reporter, dell’uomo, ma anche da quello degli internazionali e del popolo stesso, che da scettico inizia a vedere il bicchiere mezzo pieno. Nonostante il caldo che sfiora e, talvolta supera, i 40 gradi non rinuncio alla camicia…che dalla nascita non ho mai tolto. E’ soprattutto in questi momenti, quando ti accorgi che stai facendo il lavoro che hai sempre sognato, che capisci il senso di quell’espressione che in tanti ripetono e ti ripetono “sei nato con la camicia…”. Ma più che fortunato, mi ritengo privilegiato nel poter raccogliere storie e testimonianze di un popolo che sta cambiando e che vuole cambiare. Un sentimento, questo, che leggi nello sguardo delle persone, dei giovani, vivano questi in un villaggio cristiano-maronita, piuttosto che in una città musulmana. Leggi segnali che ti fanno capire quanto sia importante per loro, almeno questa volta, raggiungere lo stesso obiettivo. Che poi è lo stesso che vogliamo noi, al di qua del Mediterraneo. Dalle antiche rovine del porto di Tyro vedo il mare…e qualche italiano, che qui deve trascorrere altri, almeno, quattro mesi…si sforza nel voler vedere la Sicilia…solo per sentirsi più a casa. A me basta il mare. E va bene il rumore delle onde, per immaginarmi ad Ostia. Le distese degli agrumeti e i bananeti non sembrano soffrire il caldo quanto noi. Frutti maturi, che segnano il passo di un paese che vuole crescere e ricostruirsi. Consapevole di non poterlo fare nè senza un processo di pacificazione, né senza la speranza delle generazioni contemporanee e future che dovranno lottare perché ciò accada. Lottare nel senso più positivo del termine, vale a dire il “non arrendersi” a scelte e decisioni scellerate e “non arrendersi” all’idea - avuta fino a qualche anno fa - che la guerra fa parte del loro quotidiano. Non ho visto, come in passato, negozianti che rientrano a casa con la merce in vendita perché il giorno dopo c’è il dubbio della riapertura, non ho visto intolleranza, né disprezzo. Ma ho visto il dialogo, mai capitato per questa terra. Si, ho visto libanesi e israeliani sedersi allo stesso tavolo. Già questo può bastare. Inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Poi, ho trovato la vita di tutti i giorni, quella che va oltre la devastazione della guerra. Ho bevuto il thè con un sindaco di Hamal, ho assaggiato il caffè del comandante delle forze armate libanesi, che di una cosa è convinto: i segnali di pace ci sono e si vedono. L’ultima sera la passo con Hassan. È un professore di storia dell’arte. È musulmano e sta seguendo il mese del ramadan. Ha passato la sua giornata a fare lezione sotto il sole di agosto. Senza bere, né mangiare per tutto il giorno. Al tramonto, mi invita a cena. Finalmente, il suo primo bicchiere d’acqua. Educato, con uno stile impeccabile lo manda giù, come se non avesse sete. E io… che mi lamento del caldo e della mia camicia…


Mirko Polisano

venerdì 12 agosto 2011

LIBANO, ARRIVO A BEIRUT...SOGNANDO SHARM...

Arriviamo a Beirut, ma non è un arrivo. Mancano altre cinque ore di viaggio per giungere a destinazione. Nella “staging area”, ci assegnano i pullman: la strada è lunga, tortuosa e anche pericolosa. L’attentato del maggio scorso, ai danni degli italiani continua ad avere la sua eco. E così anche le disposizioni sulla sicurezza cambiano. Già dai primi minuti, mi accorgo che è un Libano diverso da quello lasciato tre anni fa. Ci consegnano il giubbino anti-proiettile e il kit di primo intervento per il soccorso di emergenza. Parte la colonna. Attraversiamo la “zona rossa”, teatro degli ultimi avvenimenti. “mike 1 a mike 2…che succede? Interrogativo. Passo”. Dalla radio, nessuno risponde. Il mezzo davanti a noi è fermo. Fino alla terza chiamata non arrivano spiegazioni. Il macchinista parla invano. Quando voglio risposte, non le cerco da chi comunque mi vuole rassicurare. Le trovo in chi mi sta intorno. Sono i giovani militari, seduti accanto a me. Sembrano essere tranquilli. La certezza, arriva quando dal viva voce dicono che il mezzo è fermo a causa di un’avaria. Si riparte. Sono le tre del mattino, circa. Ormai, non riesco più a prendere sonno, così ascolto. Ci sono due soldati che parlano tra loro. Rientrano da 15 giorni di licenza. Non conosco i loro nomi. Parlano quel siciliano stretto che poco ti lascia intendere. C’è chi li chiama “terroni”…per me rappresentano la bellezza di un Paese, il nostro, capace di aprirsi a tanti modi di essere. Si raccontano queste brevi vacanze. Uno le ha trascorse in famiglia, al villaggio con i suoi tre bambini; l’altro, da buon isolano, nella sua terra: di giorno, qualche caletta raggiunta con il gommone, di sera, un’uscita con gli amici. Continuano a chiacchierare, finquando quest’ultimo interrompe il discorso con una sincera esternazione:

“Lo sai che c’è? Voglio farmi anche io una vacanza di relax…come si deve! Voglio andare al mare, al sole, al caldo…ma non qui in Libano…mi piacerebbe Sharm, a fine missione…che dici è un sogno?”.


Continua a parlare…penso alla sua giovane età. E ai suoi sogni che potrebbero essere quelli di un’intera generazione, la mia, che lavora e rischia giorno dopo giorno per cambiare un mondo che così non va…




Mirko Polisano

mercoledì 3 agosto 2011

LA VIGILIA DI UNA NUOVA PARTENZA...

Ogni vigilia che si rispetti è carica di aspettative, progetti, speranze e, perché no…anche dubbi e incertezze. Ed eccomi di nuovo davanti ad un computer, nella sera prima di un nuovo viaggio. Pensi a mille cose e solo rileggendo quelle poche parole scritte finora, ti accorgi che a dubbi e incertezze ne va aggiunta un’altra. Paura. E’ da stupidi vergognarsi. Come è da stupidi non averla quando attraversi popolazioni e paesi che si dividono tra miseria e guerra. Ma anche loro…alla ricerca di una speranza, proprio come te, ripensando a questa vigilia. Già la paura. In Afghanistan, ho capito che questa non deve mancare proprio mai. Perché - ti insegnano- è solo quando sei troppo sicuro di te che rischi di sbagliare. Ecco, se devo dire cosa ha caratterizzato ogni mia vigilia posso tranquillamente ammettere che questa è la paura. Ma una serena paura. È stata la mia compagna di ogni viaggio. Poi, subentra dell’altro. Come è giusto che sia. La passione per questo lavoro, altra compagna di mille avventure, l’emozione. Quella che ti può regalare uno sguardo, una stretta di mano, un saluto ad un saggio musulmano piuttosto che un tuo sorriso ad una donna che ha il suo sorriso nascosto da un velo. Ma prima di partire, non puoi non pensarci a certe cose. E lo fai in tutti quei gesti che reputi scontati…e che ripeti giorno dopo giorno. Quando spegni il computer e lasci la tua scrivania…pensando al giorno che ritornerai a lavoro; così quando chiami il tuo migliore amico al telefono che ti dice: “n’artra vorta devi partì…”, o a cena con i tuoi, o quando saluti il tuo capo, che, prima di andare via, ti dice: “mi raccomando”. Ma non è l’unico. Te lo ripetono un po’ tutti “mi raccomando!”

. Te lo ha detto anche Patrizia stamattina e Teresa, Salvatore, Monica, zio Jakky al telefono…e poi ancora Francesco, Luisa e tanti altri “mi raccomando…”. E lì pensi…che forse tutto dipende da te. E ci ridi su, perché sai anche che non è così. Però puoi fare la differenza, puoi essere un piccolo tassello, che anche con una parola potrà essere in grado di migliorare anche solo se stesso. Allora non basta più quella serena paura…ci vuole ancora un’altra parola: responsabilità. Quella che devi avere sempre quando informi e racconti storie e sentimenti altrui. Così ho imparato questo lavoro, avendo profondamente rispetto per le storie degli altri, che un domani potranno essere le mie. Ecco, che cosa mancava ancora: il rispetto. Quello che non deve mancare nei confronti di chi chiede il tuo aiuto…di chi ti aiuta, e di chi, invece, il tuo aiuto non lo vuole. Potrebbe essere anche questo il primo passo verso…la libertà.

Mirko Polisano