domenica 25 marzo 2012

UN PREMIO E LA VOGLIA DI RACCONTARE...

Riscoprire il senso e lo spirito di una comunità. Forse è questo lo scopo numero uno del Premio Antica Ostia, dedicato a quanti “continuano la storia”. Ricevere un premio ti dà una nuova, ennesima occasione per parlare di questo che io ancora chiamo “mestiere”. Un premio alla persona, per quello che uno è e non soltanto per quello che uno fa. Anche se, in un campo come quello del giornalismo non credo possa esistere questa differenza. Lo diceva Kapuscinski, padre del giornalismo internazionale, che il “cinico non è adatto a questo mestiere”, proprio a sottolineare che non può esserci un buon giornalista e una cattiva persona; un giornalista scorretto e una persona corretta. No, non può essere. Il giornalista entra nelle storie degli altri. Storie anche drammatiche, crudeli, a volte. E quasi diventa parte involontaria del destino degli altri. E così diventa inevitabile avere sensibilità, educazione e un pizzico di coraggio.

Permettetemi di dedicare questo premio ad un insieme di cose e persone: a questo lavoro che mi ha fatto capire quanto di peggio l’uomo riesce a fare e allo stesso tempo quanto di meglio riesce a dare…

Lo dedico alla mia famiglia così numerosa che ogni volta che parto è in attesa di un sms o di una telefonata che non arriva; dedico questo premio alle storie che ti restano dentro. Forti e incredibili. A Habbas, di dieci giorni incontrato in un’infermeria del Libano del sud, a Avnia che in un orfanotrofio in Kosovo mi ha regalato un disegno della sua mano. E’ tra le mie cose più care. Lo dedico ad Hamidullah con la speranza di poterlo incontrare un giorno. Ma non adesso. Tra venti anni: significherebbe che è riuscito a diventare grande. Lo dedico alla Dpc che mi ha permesso di poterle scrivere queste “Storie Lontane”. Lo dedico a quell’autista spericolato che ad Herat ci stava per lasciare in un campo abbandonato. Lo dedico a chi ha fatto si che quella bomba scoppiasse quando eravamo già entrati in base e a quei cinque minuti di ritardo quel giorno dell’attentato. Lo dedico alle donne de L’Aquila, e a quei pomeriggi tra le macerie di una città distrutta dal terremoto. Lo dedico ad Annarita, mamma e donna. Mamma di David che dall’Afghanistan purtroppo non è tornato e donna semplicemente eccezionale che non si arrende alle scelte difficili e tragiche che la vita ci mette di fronte. Dedico questo premio alle stelle dell’Afghanistan. Così belle che ti fanno sentire così piccolo davanti all’immensità di un cielo infinito. Lo dedico ai profughi della Siria e a quel caffè che mi hanno offerto davanti ad una moschea.

Lo dedico a tutte le altre “guerre” di sotto casa, quelle della quotidianità. Ad un pomeriggio in un centro per adolescenti in difficoltà all’Infernetto. A quella casa famiglia, dove la violenza ha negato l’infanzia ai bambini. Così ti accorgi che le Storie Lontane…forse sono quelle di tutti i giorni.

Le parole di un signore accanto a me, sono il regalo più bello della giornata di oggi: “tu mi hai ricordato il giornalismo quando era giornalismo”. Troppo impegnativo per me, sono sincero. Ma mi ha fatto piacere. Troppo impegnativa anche la motivazione: “gli uomini che continuano la storia”. Non so quale potrà essere il futuro, so che a me le “Storie” piace raccontarle…e mi può anche solo bastare aver costruito un presente come quello di oggi…

Dedico questo premio a quel Generale che magari da dietro una collina scruta i suoi “ragazzi”. Potrebbe essere anche quello della famosa canzone…se così fosse lasciamo quella notte crucca ed assassina…prendiamo quel treno che portava al sole e andiamo dritti a casa…

Domani torna un altro dei “nostri”.

Mirko Polisano

mercoledì 7 marzo 2012

OTTO MARZO, OTTO DONNE STRAORDINARIE...

di Mirko Polisano

All’epoca si chiamava scuola media “Arcangelo Corelli”, quasi alla fine di Ostia. Dove oggi sorge la caserma della polizia municipale e un complesso residenziale in stile americano, all’epoca c’erano le “Case Okkupate”, le chiamavamo così. Dove oggi c’è Cineland, all’epoca c’era un capannone abbandonato chiamato Meccanica Romana, dove Benigni e Paolo Villaggio girarono pure un film. La mia classe affacciava sulla pineta circostante, si proprio quella pineta dove qualche anno dopo fu ritrovato il corpo del piccolo Simeone, figlio della violenza e della cieca ignoranza. Ma noi, adolescenti pieni di sogni e di sorrisi, certe cose non potevamo saperle, ad altre non ci pensavamo. Fu in quegli anni e in quelle aule che incontrai la prima delle otto donne straordinarie, che proprio perché straordinarie di questo otto marzo, poco importa. Il suo nome è Adele ed è stata la mia professoressa di lettere. Adele è davvero una mamma straordinaria. Ci ha accompagnato in quegli anni così difficili per noi e per tutto ciò che ci accadeva intorno. Annachiara è sua figlia ha più o meno gli stessi anni miei…e anche lei è speciale: per la sua simpatia e per il suo entusiasmo. A lei Adele ha dato e dà tutta se stessa e Annachiara è davvero una figlia fortunata…

Poi, ci ha pensato il lavoro a farmi conoscere e capire che i percorsi della vita non sono così semplici. La vita di Daniela è una vita per gli altri. Ha fondato l’Ant di Ostia, l’associazione per la lotta ai tumori e così da anni assiste chi dalla vita si sta allontanando. Daniela è una donna esile, ma non fragile. Ogni volta che la incontro, Daniela sorride. Forse Daniela è straordinaria proprio per questo perché riesce ancora a regalare un sorriso a chi di fare un sorriso proprio non ha voglia. Così è anche Catia. Lei è la presidente dell’As.O.L., un’associazione che collabora con il reparto di oncologia dell’ospedale Grassi di Ostia. Anche lei ogni giorno tocca con mano la sofferenza e il dolore. Lei i pazienti li porta in vacanza. Ha organizzato per loro gite sulla costiera amalfitana, alle Cinque Terre e in pellegrinaggio da Padre Pio. Quest’ultimo viaggio lo abbiamo fatto insieme. È stata una di quelle tante importanti esperienze umane che questo lavoro mi ha regalato. Catia ha il suo motto. E’ “Forza Ragazzi!”. Lo ha detto al nostro rientro a Roma. Poi ha aggiunto: “prepariamoci per Medjugorje”… parlare di futuro in questi casi, un po’ mi disarma. A lei, no. Ci è riuscita: a maggio si riparte.

Pinuccia tutte le mattine viene a lavoro in Municipio. La incontro anche al bar, qualche volta. Pinuccia non cammina bene. Si muove con una macchina elettrica che la porta da un posto all’altro. La sua scrivania è dietro gli sportelli dove si fanno le carte di identità. Non manca un giorno, perché a lei il lavoro piace. Le cambiarono ufficio per problemi con l’ascensore. La misero in portineria per alleggerirle i compiti: “No, io voglio ritornare al mio posto perché voglio lavorare…”, mi confessò un pomeriggio. Ogni tanto la vado a trovare: è sempre indaffarata con le pratiche. Esco e c’è la sua amica Rosetta. È a lei che mi rivolgo: “Ma Pinuccia, è nata così?”. “Non lo so. La conosco da trent’anni e non gliel’ho mai chiesto. Per me Pinuccia è così e basta”.

Con Grazia ci siamo incontrati negli studi di Canale Dieci. Venne a parlare di un concorso letterario che porta il nome di suo figlio, amante della scrittura e della letteratura. Si chiama Enrico, il figlio. Se ne è andato nel 2006 a seguito di un male incurabile. Aveva poco più di vent’anni. Così ha iniziato a parlare ai giovani, Grazia. È entrata nelle scuole, e offre ai ragazzi nient’altro che cultura. Chi vince, infatti, non ha soldi ma libri e biglietti per il teatro. È un modo perché Enrico continui a vivere. Io non l’ho conosciuto, Enrico. Ma lo rivedo nella passione di sua madre, nelle lacrime di suo padre. Attraverso i loro occhi che sembrano mostrarti un altro percorso, un’altra prospettiva: la morte non è più soltanto un punto di arrivo. È l’inizio di un nuovo viaggio, comunque. Anche per chi resta. E quell’ amore per Enrico, inevitabilmente travolge e coinvolge un po’ tutti noi.

Anche Maria è una mamma. Maria non manca mai alle mie lezioni di giornalismo all’Unitre di Ostia Antica. Lei è la più brava della classe e alle spalle una vita intensa di sacrifici, si ma soprattutto di battaglie. Le battaglie per i diritti. Le più importanti sicuramente ma quelle che più ti fanno arrabbiare proprio perché di diritti si parla. Le battaglie di Maria sono quelle di sua figlia, Barbara. Una mattina prima di Natale, mi scrive una mail. Anzi me l’ha scritta Barbara, anche se non può scrivere e mi dice che non si può chiudere una struttura sanitaria che accoglie tante altre persone diversamente abili come lei. È questa l’ultima battaglia di Maria: salvare il Centro di Educazione Motoria della Croce Rossa di via Ramazzini a Roma. Barbara mi dice che la mamma si sta battendo con tutte le sue forze. Lei non può far niente…può solo regalare tanto amore.

Giorgia, invece, è una sorella. Anche per me, posso permettermi di dire. Io che di sorelle non ne ho. Lei è una sorella straordinaria. Non sono mai riuscito a dirglielo. Lo scrivo ora in queste righe e in questo mio pensiero che leggerà. Un po’ sorride, un po’ si commuove. Di sicuro. Non mi ha parlato subito di Claudia, ma non perché se ne vergognasse. Perché nella vita è giusto conoscersi un po’ per volta. Così ho conosciuto anche Claudia, la prima volta eravamo agitati entrambi. Giorgia direbbe che avevo la classica faccia da “mirino”. Ci siamo rivisti altre volte. E così anche Claudia è entrata a far parte delle nostre vite. Quest’estate eravamo all’Anffas di Ostia, che Claudia sta frequentando. La musica nelle orecchie. Si perché come tutti i giovani di oggi, Claudia al suo lettore Mp3 proprio non rinuncia. L’ho vista felice. Forse perché lo era Giorgia che con Paolo è davvero felice. Di sicuro, lo eravamo tutti noi.

Francesca è moglie. Il termine vedova per lei non può andare bene. Suo marito, Giorgio ancora vive. Nei suoi ricordi. È parte della sua vita, di quella vita che per lei proprio facile non è stata. Giorgio, il Caporale Giorgio Langella è morto in Afghanistan, nel settembre del 2006. Francesca va ancora in giro con la macchina del marito, perché lui l’ha comprata per loro. Sognavano una casa al mare, ecco perché Francesca dopo anni al nord è venuta ad Ostia…oggi, Francesca ha una bambina piccola. Si chiama “Giò”. ”Io questo nome – mi disse un giorno – proprio non posso farne a meno di nominarlo…”.

Patrizia è stata svegliata una mattina di gennaio del 2004 da una telefonata. Suo figlio, Mirko trasportava i cornetti. All’alba, andò a sbattere con il furgone contro un albero. Forse, un guardrail gli avrebbe potuto salvare la vita. Patrizia da quel giorno non si è mai arresa. Andai a casa sua a raccontare la sua rabbia. Fu lei a chiamarmi. Si presentò il giorno dell’inaugurazione di un giardino e dall’allora Sindaco Veltroni con un cartello con la scritta “Mettete in sicurezza le nostre strade”. Le strinsero la mano e se ne andarono. Qualche anno fa, una sentenza del Tribunale di Ostia le ha dato ragione e ha condannato il Comune di Roma ad un risarcimento economico. L’amministrazione è stata giudicata colpevole dell’incidente al 50%. Un quotidiano lo riporta in un trafiletto. Patrizia non l’ho più sentita. Non credo le interessassero i soldi…ma giustizia si. Quella l’ha sempre chiesta.

Poi ce ne sono tante altre di donne straordinarie e non solo ad Ostia, ovviamente. Per me potrebbe essere la mia mamma, ma sarei così di parte che quasi capovolgerei quel detto per cui “ogni scarafone è bello a mamma soja”. Possono essere le altre che ho avuto l’onore ma anche il coraggio di incontrare. Annarita, Carla, Daniela, Nadia, Natalina, Claudia e Assunta. Persone anche semplicemente straordinarie nel loro quotidiano, nel portare avanti una famiglia, combattere una malattia, assistere un genitore, aiutare una sorella in difficoltà.

Altro che mimosa. Auguri per quello che le donne sono. Prima e dopo la loro festa ufficiale.