domenica 9 gennaio 2011

AFGHANISTAN, ARRIVO A CAMP ARENA

Herat - 23.12.2010

Il viaggio è lungo. Ci impieghiamo quasi due giorni da Roma-Fiumicino ad arrivare ad Herat, dove c’è la base “Camp Arena”, il quartier generale del Regional Command West, la cui leadership è affidata al contingente italiano e da cui dipendono circa 7600 uomini tra italiani, americani, albanesi, lituani, croati e spagnoli. È tutto pronto per la visita di domani del Presidente Schifani. E anche noi siamo pronti a seguirla. L’aereo presidenziale atterra nelle prime ore della mattina di questa vigilia di Natale, che tutto sa tranne di cenoni a base di pesce, fritture romane e preparativi di regali da scartare. Si respira un clima di attesa. Attesa per ciò che dirà il Presidente. Attesa perché in molti non vedono l’ora che queste feste passino in fretta. Vadano via. Perché tutto a Natale è più amplificato. Anche la nostalgia. Quella per la casa, per la propria famiglia. Ma chi è abituato ad andare in missione questo lo sa. E lo sanno quanti schierati in fila, sono pronti ad ascoltare. È lo stesso Schifani a parlare dell’Afghanistan, dove si sta compiendo un’operazione senza precedenti. “Abbiamo pagato un prezzo altissimo, in termini di vite umane- dice- un dolore che l’Italia non dimenticherà mai, un sacrificio che sta contribuendo al consolidamento della sicurezza e della democrazia in Afghanistan. Siete il fiore all’occhiello del nostro Paese”. Ci fanno pensare queste parole, al di là del “fiore all’occhiello”. Ci fanno pensare quando si parla di caduti, di morti. E di dolore. Un dolore testimoniato da una discreta presenza: è la mamma del capitano Romani, il giovane ufficiale del Col Moschin che qui in Afghanistan è recentemente morto. Questa signora bionda e silenziosa è arrivata con Schifani per vedere dove il figlio ha vissuto i suoi ultimi momenti, per conoscerne i compagni, per respirare l’ “aria” della missione. Una missione difficile. Fatta soprattutto per ricostruire un paese ed assicurargli un futuro democratico. I soldati schierati al sole che illumina una calda giornata d'inverno ascoltano le parole del Presidente, incassano la gratitudine di Schifani mentre, a pochi passi dal piazzale, c’è qualcuno che pulisce i mezzi blindati ed armi, sempre pronti a intervenire. Oggi è Natale, è festa e c’è anche il panettone; ma la vita continua e il lavoro prosegue. Qui, ad Herat, regna ora una relativa tranquillità, dopo anni passati a schivare i razzi dei talebani insorti. Ma il pensiero di tutti è rivolto costantemente ai compagni impegnati negli avamposti lontani, nel Gulistan, a Bala Murghab, dove i nostri mortaisti, gli incursori, gli assaltatori, affrontano ogni giorno i grandi pericoli di un territorio ancora molto insicuro. Terminata la fase istituzionale, Schifani ha personalmente stretto la mano agli uomini e alle donne schierati nella piazza delle bandiere. Uno ad uno per congratularsi per la loro professionalità. Un breve pranzo in mensa e uno scambio di battute ai tavoli sono stati gli ulteriori momenti di una giornata intensa, anche di emozioni. Prima di partire a bordo dell’aereo presidenziale, la visita ai reparti e ai mezzi della componente area del nostro contingente, costituita da uomini e mezzi dell’ Aeronautica Militare, dell’Esercito e della Marina Militare. Un ultimo grazie, e poi in volo verso Roma. “E’ stato bello – racconta un alpino, un po’ commosso – è come se attraverso le telecamere di oggi, salutassimo i nostri cari in patria”. Siamo d’accordo con lui, così come con il presidente Schifani quando, in chiusura del suo intervento istituzionale, ha detto che non può esistere un discorso preparato in queste circostanze. Esiste, però, l’affetto e l’orgoglio di un popolo, quello italiano, che è con tutti voi…
Mirko Polisano

Nessun commento:

Posta un commento