martedì 19 aprile 2011

MEDIORENTE, LEZIONE DAI POPOLI IN FUGA

di Simona di Michele

L’immigrazione dal Maghreb in rivolta è un fenomeno complesso che coinvolge tanto gli aspetti politici, diplomatici ed organizzativi quanto quelli umanitari e legati all’integrazione tra culture. Da quando, a metà febbraio scorso, si prefigurava la possibilità dell’arrivo di un “esodo biblico” di migranti sulle nostre coste, non si è invece assistito alla promozione efficace di nessuno di questi due livelli di analisi: le forze di governo nostrane ed europee, lungi dal prepararsi preventivamente nei confronti di uno scenario simile, hanno procrastinato qualsiasi decisione efficace, scaricandosi vicendevolmente la responsabilità di “sopportare” il peso dei nuovi venuti nordafricani. La disorganizzazione strategica e la scarsa volontà politica italiana di un pronto intervento hanno inoltre causato l’esasperazione degli abitanti delle zone che hanno accolto i migranti. Ciò ha in parte amplificato l’immaginario di pregiudizi e di stereotipi verso di loro, relegando sullo sfondo anche il secondo aspetto, quello della solidarietà, della tolleranza e dell’integrazione, e anteponendo ad esso l’atavica paura dell’integralismo islamico.
Sul versante politico, tanto l’Italia quanto l’Unione Europea si sono approcciate al fenomeno prive di un reale senso di pragmatismo e solidarietà: l’accordo tra il governo, le regioni e gli enti locali italiani per accogliere fino a cinquantamila profughi “equamente distribuiti nel territorio nazionale”, siglato il 30 marzo e prontamente seguito dall’attracco al porto di Lampedusa della prima nave prevista per il trasferimento dei migranti dall’isola, più che prefigurare l’avvio di una politica interna finalmente lungimirante ed equilibrata, ne ha riconfermato le contraddizioni. Le “altre destinazioni” prescelte per accogliere i migranti sono state infatti ulteriori città del sud dell’Italia: decisione che ben si coniuga con le sconcertanti dichiarazioni di alcuni politici italiani, come quelle rilasciate dal leader della Lega Nord Umberto Bossi ai giornalisti che lo hanno intervistato a fine marzo, “Gli immigrati [è] meglio tenerli al sud. La soluzione è prenderli dall’isola e rimandarli a casa. E comunque è meglio tenerli vicini a casa loro. Per portarli sulle Alpi devi fare migliaia di chilometri...”.La latitanza dell’Unione Europea nella concretizzazione di interventi veramente efficaci e definitivi nei confronti dell’immigrazione non produce minore indignazione: il caso più evidente è rappresentato dalla Francia di Sarkozy, tanto più chiusa all’accoglienza dei migranti quanto più invece si rivela la destinazione ultima agognata dalla stragrande maggioranza dei tunisini che lì si vogliono ricongiungere con famiglie, amici e conoscenti.
In conclusione, tanto la governance italiana quanto quella europea hanno saputo dimostrare fin dagli esordi una imbarazzante mancanza di solidarietà: l’Occidente del benessere e della ricchezza si è immediatamente defilato lasciando che fosse lo stesso paese da cui sono partiti i migranti a gestire sul proprio territorio un numero di persone (quelle provenienti dalla Libia) ben più alto di quello che ha raggiunto le nostre coste, e con l’ausilio di risorse (economiche, politiche, sociali) ancor più precarie perché destabilizzato dall’attuale fase critica della transizione.
In un simile scenario si rischia di perdere di vista la dimensione più importante, quella umana: i migranti, spersonalizzati dalla retorica politica, perdono la dignità di esseri umani perché vengono tramutati in numeri scomodi da organizzare, in oneri gravosi che tutti, per un motivo o per un altro, preferiscono non avere nel proprio territorio. La dimensione umana viene negata anche a coloro che li dovrebbero accogliere, nel momento in cui le carenze governative li costringono a preoccuparsi delle contingenze materiali piuttosto che della possibilità di costruire con i migranti un tangibile e sereno clima di integrazione: in un’Italia totalmente squilibrata, con un sud “invaso” e un nord che si rifiuta di aprire le proprie porte ai migranti, la sola condivisione possibile coi nuovi venuti può riguardare esclusivamente gli aspetti più negativi e problematici, ovvero l’intollerabilità delle assurde condizioni igieniche, sociali e psicologiche in cui versano insieme migranti e residenti. L’Italia, nell’ottica dei migranti, è del resto un paese di passaggio: la meta reale è l’Europa, che rappresenta per i giovani harraga la prospettiva di un lavoro e la speranza di abbracciare i propri cari. La transitorietà del loro passaggio nel nostro paese, l’accoglienza politica stentata e diffidente (l’unica che viene loro garantita) e la difficoltà di trovare negli italiani un interlocutore totalmente disposto ad aiutarne l’assimilazione sono tutti fattori che aprono una voragine sempre più profonda tra noi e loro. Una distanza che, vista la situazione odierna dei paesi del Mediterraneo, è da considerarsi, nel minore dei casi, del tutto anacronistica. La natura del fenomeno migratorio, dunque, ha una valenza molto complessa nella misura in cui induce a riflettere su ciò che noi stessi, in quanto popolo, siamo abituati a dare agli altri, e su quanto rischiamo assuefacendoci alle debolezze di un governo che ci imprigiona nei nostri stessi pregiudizi. I migranti che giungono sulle coste italiane possono rappresentare un monito per le nostre coscienze; tramite la loro venuta dobbiamo renderci conto di quanto gli errori del governo ci stiano impedendo di essere, agli occhi di chi chiede il nostro aiuto, una opportunità per il loro futuro, e per il nostro.

Simona di Michele