sabato 30 giugno 2012

NOI GIOVANI E...L'EUROPA

“Tu, ragazzo dell’Europa…viaggi con quell’aria precaria…”

Erano i primi anni ‘80, quando Gianna Nannini mise in musica queste parole. Il muro di Berlino da lì a poco sarebbe caduto e ovest ed est non avrebbero più rappresentato le divisioni di una Germania contesa, ma anche la fine della Cortina di Ferro che separava il blocco comunista da quello occidentale. Insomma, stava per nascere un’altra Europa, quella che forse ha gettato le basi della “comunità” di oggi, e che ci vede simili non solo nel nome di una moneta, ma anche nella lotta quotidiana tra sofferenze e sacrifici. La crisi delle banche e dei governi e un’economia che rende ricchi i ricchi e poveri tutti gli altri. La sfida del lavoro è sempre più dura e l’alternativa è un baratro. Cassa integrazione, mobilità, pensioni ferme, ma anche contratti a tempo e provvigioni. Tutti termini che sono stati catapultati nelle nostre vite, nei nostri pensieri e nel nostro mondo. Una quotidianità che spaventa e che allo stesso tempo ti frena. Questo è ciò che offre il mio Paese. Una macchina a rate, un telefonino in comodato d’uso, un governo che tassa le case. Non so se sia giusto o meno. So che a quasi trent’anni sogni e speri altro. Così di questo Paese ti resta un po’ di passione, quando davanti alla tv vedi la tua Italia scendere in campo in questi Europei, che per novanta minuti ti distraggono. Ma anche qui hai le tue riserve, quando pensi a tutti quei soldi e agli sponsor, quando il tuo capitano non rappresenta un esempio di sport, quando le scommesse vincono sui risultati. No, ti accorgi che il limite è stato superato quando neanche un gol può far tollerare tutto questo. Prima bastava uno Schillaci e tutto passava. Adesso non lo accetti. Non ti resta che percorrere la strada dell’Europa, almeno quella ti sembra la migliore. 

Il primo è stato Fabio. Lui, a dire il vero, è sempre stato uno spirito libero. E’ andato a Cork in Irlanda a fare la sua esperienza, poi si è imbarcato su una nave e continua a girare il mondo, lasciando ogni volta famiglia e amici. Fabio non è uno qualunque. È uno forte. Era piccolo e parlava benissimo lo spagnolo, poi gli studi, il lavoro di barman e una laurea. Ci conosciamo da quando avevamo sette anni. Ogni tanto, tra un viaggio e l’altro ci vediamo ed è come se non ci fossimo allontanati nemmeno per un attimo. 

Anche Matteo è un grande amico. L’ho scritto pure nelle mie “Storie Lontane”. Quando ci siamo incontrati faceva il cameraman e la nostra trasferta più lontana poteva essere Ardea o Tor San Lorenzo. La passione per il cinema lo ha portato a Londra. Mi ha mandato il suo ultimo montaggio. La scritta in inglese ti fa capire che la via Litoranea l’ha superata eccome…e la strada percorsa è sicuramente quella giusta. Ogni tanto ripenso alla pizza del sabato sera e ai film al cinema, dove io crollavo senza arrivare alla prima mezz’ora. Il filmato l’ho visto ed è facile definirlo bello o particolare. Io non saprei commentarlo, so solo che dopo i primi quaranta secondi mi sono detto: “questo è un lavoro di Matteo”

Francesca è partita un anno fa. La sua è stata una scommessa. Ha sempre sognato di fare un’esperienza all’estero. È volata a Dublino. Ci ha creduto e oggi è realizzata nel suo lavoro e nella sua vita. Non è stato semplice neanche per lei, e dividersi tra l’Italia e l’Irlanda ha le sue difficoltà: ogni volta che riparte porta nella valigia qualcosa di noi… ogni volta, il rimprovero per non essere ancora andati a trovarla…poi, quell’abbraccio. Così forte che dice tutto. Domani, parte Antonio. Anche per lui inizia una nuova vita. Vorrei augurargli “buona fortuna”…ma so che non ce n’è bisogno. E’ bravo e poi…lassù c’è qualcuno che lo protegge e lo guiderà… 

Mirko Polisano

 

domenica 3 giugno 2012

MEDJUGORIE, LA COLLINA DELLA FEDE E DELLA SPERANZA

Ci sono momenti, nella vita, dove essere soli è davvero dura. Ci sono posti, nel mondo, dove non si è mai soli. Medjugorie è uno di questi. Piccolo villaggio della Bosnia Erzegovina, grazie ad alcune apparizioni della Madonna, è meta tutt’oggi di continui pellegrinaggi. Attraversiamo la frontiera con non pochi problemi di lasciapassare, prima di raggiungere il paese ci imbattiamo in strade sconnesse e campi minati. Sono i segni di una guerra che ha portato al crollo di uno stato, quello dell’ex Jugoslavia. L’architettura post-comunista fa da sfondo a questo nuovo viaggio e pochi minuti dopo, ci ritroviamo ai piedi di una collina impervia e piena di rocce. Il paesaggio è cambiato, come è cambiato il nostro pensiero. E la parola guerra ha lasciato il posto al suo contrario, più impegnativo sicuramente: pace. Crediamo anche di non essere in grado di riuscire a scalare quei sassi incastonati nella terra brulla. Sei quasi titubante, poi ti passa accanto Sandro. È seduto su una sedia a rotelle. Quattro ragazzi di buona volontà lo trasportano in alto. “Non c’è cosa più bella che rendere possibile l’impossibile”, mi dice Davide, uno di loro. Ti supera anche Eugenio con il suo bastone: ha lavorato più di un anno per questo viaggio e ora è sulla vetta, contento e soddisfatto. Come un eroe combattente che porta a termine la sua battaglia. Katia, invece, accompagna un gruppo di malati oncologici. Non li molla neanche un attimo. Anche lei, come molti che ho incontrato in queste giornate, non si risparmia agli altri. Ti trovi a tu per tu con la Madonna e le cose da dire sono tante. Puoi crederci o no, ma in quell’attimo pensi che parlarci sia davvero l’unica cosa da fare. Così inizio, e dopo un po’ già mi accorgo che quasi non devo chiedere nulla. O che quello che devo chiedere è nulla rispetto a chi ti sta accanto. Nonostante i volti sereni e di preghiera. Lo pensa anche Elisa che fa l’infermiera e ha scelto il reparto di oncologia perché “stare accanto a chi ha davvero bisogno di conforto oltre che di medicine, è davvero un arricchimento personale”. Così come afferma la sua collega Cristina, che con grande professionalità è vicino ai suoi pazienti. Non si tratta di coraggio, piuttosto di interpretare un ruolo e un mestiere come una vocazione e allo stesso tempo, una missione. Ma il coraggio non manca: lo vedi in una mamma che ti racconta di quando ha spiegato al suo bambino di avere un tumore, in una coppia di anziani che è talmente devota che viene ogni anno in questa terra. Ma questa è la prima volta insieme: il biglietto costa troppo e per chi vive di pensione è dura acquistarne due. Così ci si alterna. Una signora prega per sua sorella che non può sottoporsi alla terapia, un’altra ricorda un’altra sorella che non c’è più. Lo guardi quel cielo e in molti lo vedono il sole che fa il “miracolo”. Una bambina lo indica con il dito, una donna piange, un’altra resta sconvolta. Non riesci a darti delle risposte e non è necessario che tu ne dia: la fede è una dimensione troppo intima e particolare che ognuno vive a suo modo. Ritorni a casa e alzi di nuovo gli occhi. Il cielo ti sembra più azzurro vicino al mare. Neanche ti importa del rumore degli aerei, che hanno sparato fumo per tutto il pomeriggio. Lo vedi, quel cielo, e ora per te è solo carico di speranza. E questo ti dà la forza per andare avanti…
Mirko Polisano