lunedì 10 febbraio 2014

GIORNO DEL RICORDO, L’ESODO E LA DIGNITA’.



Quella di Claudio è la storia di tanti come lui. Oltre 300 mila italiani hanno vissuto l’incubo dell’esodo e la tragedia, ancora più grave, delle foibe. Claudio Smareglia ha 66 anni ed è nato a Pola. Il papà Giulio era un insegnante di lettere e filosofia a liceo ed era anche il proprietario dell’unica libreria della città. Il suo racconto è di quelli che tante volte, facendo questo lavoro capita di incontrare, purtroppo. Quando è l’umanità ad oltrepassare il confine dei sentimenti, dove il rancore diventa intolleranza e l’intolleranza diventa odio. Sulla cartina, il confine è quello italiano. Quella sottile e tremula linea che segna il passo dalla Jugoslavia di Tito. Claudio, all’epoca, era un bambino. Ma i suoi ricordi sono limpidi come quelli di sua mamma che di anni ne ha 94 e la sua memoria è testimonianza delle generazioni presenti. “La mia famiglia è istriana dal 1649 – racconta con voce ferma e decisa Claudio- e dopo 500 anni aveva tutti i diritti di rimanere lì, invece noi siamo stati completamente estirpati. Papà, essendo italiano, era considerata persone sgradita: è stato subito incarcerato come nemico del popolo slavo. Non ha mai fatto mistero della sua italianità – prosegue Claudio – e del suo voler rimanere italiano. Come ha scelto la nazionalità italiana lo hanno tirato fuori dal carcere, a me e mia mamma ci hanno preso come eravamo vestiti, senza prendere nulla, e ci hanno portato sulla Rabuiese, dalle parti di Trieste”. Da qui inizia l’esodo della famiglia Smareglia. “Siamo andati a finire a Grado – mi spiega Claudio, oggi pilota dell’Alitalia in pensione – dal fratello di mio padre. Il momento era bruttissimo con la famiglia che si era divisa. Papà era andato ad insegnare a Mestre e noi siamo andati al Silos di Trieste, un antico magazzino dell’Austria, vicino alla stazione e vicino al porto utilizzato per smistare le merci e lì abitavamo io, mia madre, mio zio e mia nonna in un box di legno di tre metri per quattro, senza nessun conforto e con i servizi all’aperto”. È il cammino di sofferenza vissuto da un’intera comunità con grande dignità e consapevolezza. Un cammino, purtroppo, vittima della storia contemporanea a lungo ostaggio di interpretazioni ideologiche e di convenienze politiche. Era Sofocle che diceva che l’uomo civile si distingue dal barbaro perché sa opporsi alla dismisura. Ecco, per gli artefici di questa storia non ci sono gli insegnamenti di Sofocle. Ci sono solo barbari.      

Mirko Polisano

Con Claudio Smareglia, esule istriano