sabato 30 marzo 2013

AFGHANISTAN, PRESENTATO IL CALENDARIO DELL'ASSOCIAZIONE DEI CADUTI


“Quanta strada deve percorrere un uomo per considerarsi un uomo…?”

L’inchiostro è quello di un pennarello indelebile, la scritta è posta sull’elmetto, primo compagno di viaggio in questa terra, dove pace e guerra si incontrano. Non ti aspetti di trovare una citazione di Bob Dylan  sul telo mimetico…è il mondo di giovani, lontano da quello di altri loro coetanei. E lontano anche da un immaginario comune e qualunquista che li vede del sud, ignoranti e prezzolati. 

Hanno poco più di vent’anni, e non si tirano indietro davanti alle responsabilità. Tra polvere e sabbia, sorvegliano una torretta; di notte non hanno tempo per godersi il panorama stellato dell’Afghanistan, e se quel cielo potesse parlare ti racconterebbe meglio di loro. Delle avversità di questo deserto, dove fa caldo e l’acqua per tenerla fresca la devi nascondere. Ti direbbe delle tende piccole che sono un riparo dal cocente sole e che in certi posti il cibo è scaricato dagli aerei, perché i rifornimenti non arrivano.

Ti parlerebbe dei loro anfibi chiari e impolverati, dei bauli neri e di plastica, degli zaini tattici e delle mostrine con il gruppo Zero positivo. Poi, si parte. All’arrivo in aeroporto, mai voltarsi indietro e il saluto è sempre veloce. Gli occhi lucidi, potrebbero tradire l’emozione e anche la paura. Perché in Afghanistan la paura, c’è.

Giovani pronti ad indossare giubbetto e armi e a salire sul Lince, andando incontro al loro destino che pur conoscendolo, non sanno quale sia. Il pensiero vola avanti, ma non possono fare a meno di preoccuparsi. Già, come in una sorta di paradosso vivente, sono loro a preoccuparsi per chi sta a casa. Così internet diventa un tranquillante, e skype il rimedio alla lontananza. Quando il collegamento prende e il segnale non arriva disturbato. Quando si può una telefonata…e la risposta è sempre uguale: “Mamma.Qui, tutto bene!”.

In queste pagine, ci sono questi giovani. Che tifano Milan, e Napoli. Lazio e Palermo…quasi ad unire l’Italia sotto un unico modo di essere: quello della migliore gioventù. Che non ti canta solo Bob Dylan, ma ti cita Confucio, Gandhi e Nietzche. Che studia la Bibbia e che conosce il Vangelo. Una generazione che sarà anche figlia di un certo benessere, ma che ha vissuto i passi cruciali della storia contemporanea. Abbiamo visto cadere il Muro di Berlino e scoprire la guerra con la crisi del Kuwait e le stragi dell’ex Jugolsavia. Poi, chi l’avrebbe detto che quell’11 settembre saremmo andati a farla anche la guerra. In Iraq e in Afghanistan. Da queste terre, alcuni non sono tornati. Il pensiero è per loro. Ma è anche per chi c’è e continua un’altra “missione”...

Quella che i loro figli, mariti e fratelli…hanno lasciato in sospeso.  

Mirko Polisano



E' stato presentato lo scorso febbraio il calendario "Afghanistan, domani...però domani!", curato dall'Associazione Caduti di Guerra in Tempo di Pace. Il filmato, che ha superato le oltre 2.200 visualizzazioni in meno di un mese, è disponibile collegandosi a questo link: 


Militari italiani in missione all'estero


      

venerdì 8 marzo 2013

ISLAM, 8 MARZO PER LE SORELLE MUSULMANE


Da Shahrazad a Bochra Belhaj Hmeda. L’onirica protagonista dei racconti de “Le Mille e una Notte” e la presidente del movimento femminista a Tunisi: storie di donne con fascino e intelligenza.

La forte percezione della sottomissione delle donne musulmane è stato uno degli argomenti a sostegno delle invasioni in Iraq e in Afghanistan. Sicurezza e libertà erano gli imperativi primari: ripulire il mondo dalle cellule del terrore e dai loro fiancheggiatori e diffondere democrazia e libertà. In un discorso radiofonico, nel novembre del 2001, l’allora first lady Laura Bush disse: “la lotta contro il terrorismo è anche la lotta a favore dei diritti e della dignità delle donne”. Gli americani, e i Bush soprattutto, sono da sempre dei maestri nella propaganda, specie se di guerra. Con questo, lungi da noi pensare che non ci siano problemi legati all’emancipazione femminile in alcuni paesi di matrice islamica, ma non è mai opportuno parlare per luoghi comuni e approssimazione. La tematica è delicata, come se fosse un viaggio importante, alla scoperta  di un mondo lontano che va a scardinare gli stereotipi di un ordine sociale repressivo, e a raccontare altre donne.

Bochra Belhaj Hmida,
presidente dell'associazione
Donne democratiche tunisine
Baby Boom. È un film di Hollywood del 1987. La protagonista, una donna in carriera che diventa ragazza-madre, sottopone a un colloquio diverse baby-sitter, sperando di trovare quella giusta per sua figlia. Tra queste, una ragazza è coperta da un lungo velo nero, che dice con un forte accento arabo: “le insegnerò a rispettare il maschio. Parlerà solo le rivolgono la parola. Non ho bisogno di un letto, preferisco dormire sul pavimento”. È l’immagine che arriva anche al mondo occidentale, con la stessa proporzione abbiamo quella  che fa di un italiano all’estero solo pizza, mandolino e mafia. Se volessimo dare un volto a questa idea diversa, potrebbe essere quello di Suaad Salih, la cui area di competenza è il fiqh, il diritto islamico. Salih è una giurista islamica e docente di diritto all’università di Al-Azhar, tra i più importanti centri di insegnamento nell’Islam sunnita. È stata la prima preside di facoltà, è scrittrice che affronta temi che vanno dal diritto di famiglia ai diritti femminili. È tra le ospiti fisse di Al-Jazeera e predica senza timidezza l’Islam, diffondendo il suo messaggio, diventato la sua dottrina: “L’Islam è semplice e tiene le donne in grande considerazione”. Ci sono anche donne come Salwa Riffat, egiziana di più di sessant’anni laureata in ingegneria aerospaziale all’università de Il Cairo. È insegnante anche lei: “le donne della mia generazione erano l’avanguardia di una nuova era in Egitto – ha spiegato più volte – oggi non lo si nota quasi più: le università in Egitto pullulano di donne che spesso sono più numerose degli uomini e, spesso, più bravi di questi nelle loro discipline”. Alla facoltà di medicina de Il Cairo, gli studenti che tengono il discorso di commiato durante la cerimonia di laurea, vale a dire i più meritevoli, sono quasi sempre donne. Questi casi sono tutt’altro che unici.

Salona Sigir,
Giornalista 
Maledetta Primavera. E’ stata salutata da tutti come la rivoluzione del cambiamento. Termine improprio rivoluzione, ma che meglio esplica il vento di novità che avrebbe dovuto soffiare sulle piane del Maghreb. Con il passare del tempo, il caos e la confusione hanno preso il sopravvento e ora in Tunisia e in Egitto governano estremisti e partiti che gridano alle masse. La Marsa è una cittadina balneare alle porte di Tunisi, da qui è partita un’altra rivoluzione: quella femminista per i diritti delle donne. Bochra Belhaj Hmida ne è la portavoce. È un avvocato della Corte di Cassazione di Tunisi e presidente dell’associazione “Donne democratiche tunisine”. Tra le prime a rivendicare il ruolo delle donne nella politica e a combattere la prostituzione e l’emarginazione femminile. Sul velo, la sua posizione è fin troppo aperta: “indossarlo, è una scelta personale”.  La scelta di non portarlo è stata fatta anche da Salona Sigir, giornalista dei programmi italiani della radio di stato tunisina. Parla italiano e francese, ascolta la musica di Morandi, Battisti e Baglioni e cura le notizie del telegiornale. Parlare con lei è come gettare uno spiraglio di luce sulle donne musulmane. “Siamo cambiati dentro – mi racconta Salona, mentre mi ospita nel suo programma – sembra respirare un’aria nuova”. Poi, aggiunge: “Io devo essere ottimista. Noi donne abbiamo lottato e lavorato molto, con molti sacrifici per raggiungere una nostra indipendenza, per andare a scuola o all’università. Abbiamo combattuto per avere una nostra libertà e dobbiamo continuare a farlo, perché una battaglia non è mai vinta. Le donne devono insieme essere solidali: è l’unico modo per sconfiggere l’estremismo”.

L’Islam che non ti aspetti. Le ho incontrate sul treno che da Pec arriva a Pristina , sulle note di “Voglio vederti danzare” di Battiato che parla di melodie e divergenze tra Oriente e Occidente. Besa e Florentina sono giovani. A 24 anni, hanno sofferto la guerra dei Balcani. Indossano jeans stretti e tacchi alti. Sono musulmane…ma nessuno lo direbbe. “Il nostro è un paese bellissimo”, afferma Florentina che utilizza i social network e ascolta tanta musica. Lavora in parlamento come interprete, mentre Besa è insegnante.  Dafina, invece, di anni ne ha 25 e gestisce il Museo delle Tradizioni a Pristina. Mi colpiscono i suoi orecchini con il segno della pace. “Non so se ci sarà mai la pace – mi confida – ma credo nella possibile convivenza e nel rispetto delle persone”. Florentina, Besa e Dafina, sono musulmane e di famiglia islamica. Rappresentano davvero un nuovo modo di essere e un altro volto di una religione poco conosciuta da chi non la pratica.       

 Dafina, lavora al museo delle tradizioni a Pristina (Kosovo)
L’analisi resta quella di un argomento che tocca tanti temi: dalla religione, alla sfera intima e personale. Dai diritti, alle scelte obbligate o condizionate. Il compito di chi scrive e informa resta quello di non fermarsi alle apparenze e ai luoghi comuni. E neanche di minimizzare situazioni complesse e gravi. Sono argomenti che colpiscono, nel nome dei quali sono state movimentate guerre e nutriti pregiudizi. Sono stati commessi omicidi e condanne capitali. Sakineh in Iran è diventata l’emblema e il simbolo della difesa delle donne e dei diritti umani. In questo 8 marzo, il pensiero va a lei, sperando riesca ad essere liberata. Come nelle “Mille e una Notte”. Magari arriverà anche per lei, Shahrazad e salverà lei e chissà quante altre donne, grazie al fascino della sua intelligenza. 

“Tu sei la salvatrice di tutte le fanciulle, che avrebbero dovuto essere sacrificate al mio giusto risentimento”.

Speriamo che le parole conclusive dell’opera più conosciuta della letteratura araba possano essere anche il finale di questa che una favola…non è.  


Mirko Polisano