sabato 4 febbraio 2012

AFGHANISTAN, A VENEZIA LE "STORIE LONTANE..." SONO STORIE DI TUTTI!

di Mirko Polisano


E’ la seconda volta che sono ospite di questa grande famiglia. La famiglia dei Lagunari. La prima volta è stata in Afghanistan, poi ieri nella loro caserma a presentare il mio “Storie Lontane…”. Che non sono più “Lontane…” perché sono le loro “Storie…”. L’emozione un po’ ti prende perché l’ultima volta che li hai visti erano in mimetica, a Farah, Bala Baluk o a consegnare le merendine a Keyrabad. Ora, li rivedi seduti in prima fila con le loro mogli e le loro fidanzate a sentire di questo libro che parla molto di loro. E il loro pensiero va a chi non può essere seduto con noi…perché non ce l’ha fatta. Perché dall’Afghanistan non è tornato.




Lo ha ricordato anche il Presidente del Consiglio Comunale di Venezia, Roberto Turetta, emozionato anche lui e contento di aver trascorso con noi questo venerdì pomeriggio. “Non possiamo esserci solo nei giorni del funerale”, ha detto. “Dobbiamo esserci anche in queste occasioni, per esprimere la vicinanza di una città, della città di Venezia”. E le ricordo ancora quelle bandiere con il “Leone” e la scritta “San Marco”, segno di un Reggimento e della sua città. Arrivammo a Farah, in una mattina di freddo e polvere, dove il portellone aperto dell’elicottero ti gela il sorriso. Eccolo Italo, proprio come l’ha descritto ieri sera la sua ragazza parlando con me: “sempre positivo”. Ti prende e ti porta a fare il giro della base…in realtà pochi minuti dopo sei faccia a faccia con il generale Petraeus, comandante della missione Isaf in Afghanistan…e ti viene voglia di chiedergli: “perché siamo qui? Perché non ce ne andiamo?”…ma sai che non potrà risponderti, o forse non vuoi che la risposta sia sempre la stessa: “per difendere il mondo dal terrorismo internazionale”. Almeno allora, Bin Laden era ancora vivo…rappresentava l’unico appiglio vivente nel trovare un motivo a questa guerra. Oggi, però gli interrogativi, tornano prepotenti e le risposte che mancano ti fanno solo rabbia. Ma a questo i “Lagunari” non ci pensano. Pensano al loro lavoro: a quel basco verde portato con l’ “onda”, a quel Mao mostrato con orgoglio sul braccio, a chiamarsi “baffo” tra di loro e a quelle telefonate che il giorno di Natale non riescono a fare alla propria famiglia. Li saluto, prima di lasciare Venezia. Il piacere di aver conosciuto i loro familiari, che attraverso “Storie Lontane…” hanno visto l’Afghanistan e così anche per loro questa terra non è più tanto “Lontana…”. Anche Elisa è sorridente proprio come il suo fidanzato, mi dice: “quando sta in missione è lui a dare coraggio a me…ma come fa?”. E lui è convinto: “ci sono due famiglie una è lei. L’altra è questa divisa che indosso”.

Giro lo sguardo e al tavolo dove il libro è in vendita si avvicina un tenente colonnello. Fissa il libro, china il volto, e ha gli occhi lucidi.

“C’è Hamidullah in copertina…come faccio a non comprarlo?”

Mirko Polisano


giovedì 2 febbraio 2012

NOI E L'AFGHANISTAN: TRA FIDUCIA E RICORDO...

NOI E L’AFGHANISTAN: TRA FIDUCIA E RICORDO…

di Mirko Polisano

Quando parli di Afghanistan sono le emozioni che ti travolgono. Le stesse che cerchi di trasmettere a chi ascolta le tue storie. Ecco il perché del coinvolgimento, di questo “Noi”, che un po’ ci lega a quella terra, dove guerra e pace si confondono, tanto da non farci neanche bene capire il perché di una missione così importante, ma di cui si parla solo quando uno dei “nostri” – ritorna questo senso di appartenenza – non ce l’ha fatta. Eppure in Afghanistan, le giornate scorrono proprio come qui da noi: ho visitato il mercato di Farah. Era un tripudio di colori. Ho visto venditori di dolci e pasticcerie di Herat con panna montata e miele, da far impazzire i golosi. Ho incontrato i nostri ragazzi, anche se a loro non piace essere chiamati così. Sono militari che sanno fare il loro lavoro, che non si tirano indietro davanti a ordigni e imboscate. Possono essere i nostri figli, i nostri mariti, le nostre mogli. Ecco, il nostro che ritorna. Le nostre sorelle, le nostre figlie, le nostre amiche. Come Emanuela. 25 anni, Caporal Maggiore dell’Esercito. Arruolata negli alpini. Lei che con gli alpini aveva poco a che fare: veniva dal mare, quello di Ostia e abita ad Acilia. L’ho incontrata ad Herat, la vigilia di Natale. È stata la prima persona che ho conosciuto tra quelle montagne alte e polverose. Ho sentito un po’ l’accento, un po’ l’aria di casa. E’ stato il destino, ho detto scherzando. Chissà quante Emanuela ci sono che negli angoli più difficili di questo mondo fanno il loro lavoro tra mille difficoltà. Per questo dopo “noi e Afghanistan” c’è la parola “Fiducia”. Perché è anche in loro che bisogna avere fiducia. E mi vengono in mente le parole di un saggio afghano. Eravamo proprio in quel mercato così profumato di spezie, che mi disse: “per vincere questa guerra c’è bisogno di fiducia”. Io gli risposi che forse a noi non importa vincere la guerra, ma far vincere la pace. “E’ uguale mi disse lui…perché per vincere la pace devi conquistare le menti e i cuori degli afghani”. Non so se riusciremo a conquistare le menti e i cuori degli afghani, un popolo che difende con orgoglio le proprie usanze e le proprie tradizioni. Che non accetta tempi e padroni. Allora, capisco a questo punto l’importante non è più vincere, ma non perdere. Non perdere uomini e vite umane. Giorgio Langella è stato l’ottavo caduto italiano in Afghanistan. Se ne è andato nel settembre del 2006 a Kabul e quella mattina neanche doveva essere lì. Di nuovo, ricompare il destino. E in Afghanistan ognuno lo chiama a suo modo: fede, fatalità, caso, coincidenza, dovere. E il Caporal Maggiore Langella se n’è andato adempiendo al suo dovere. Al suo fianco ha avuto, a me piace continuare ad usare il presente, ed ha una moglie forte e determinata. Si chiama Francesca. Ha scelto di vivere ad Ostia perché il mare le ricorda suo marito. In tanti le hanno promesso vicinanza e affetto…ma passano i giorni, i riflettori si spengono e…tutto scorre. Così l’indifferenza torna ad essere protagonista. Fino al prossimo che atterra avvolto da un tricolore. Si ritorna a parlare di Afghanistan e del perché di questa guerra, che al sol pensiero di chiamarla “giusta”, mi lascia perplesso. È qui che subentra il “ricordo”. Il titolo ora è al completo: “Noi e l’Afghanistan: tra fiducia e ricordo…”. Ma non il ricordo nostalgico e fine a se stesso. Quello attivo, nel senso letterale del termine, che ti dice: “non dimenticare!”. Non possiamo dimenticare l’Afghanistan, la sua gente, Emanuela e tutti quei ragazzi, si continuo a chiamarli ragazzi, impegnati a difendere quei valori in cui sono rimasti in pochi a credere, Giorgio e tutti quelli che non sono più rientrati. E siamo arrivati a 44.

Non lo dimentichiamo…


Mirko Polisano