sabato 9 novembre 2013

BERLINO, IL CROLLO DEL MURO 24 ANNI DOPO. DA CITTA’ DI FRONTIERA A PONTE D’EUROPA


Nel giorno dell’anniversario, tutto diventa ricordo. Era il 9 novembre del 1989, esattamente 24 anni fa, quando il muro di Berlino fu abbattuto. Non crollavano solo i pilastri di cemento, ma un modo di pensare che ha diviso una città, l’Europa e il mondo in est e ovest, oriente e occidente, Usa e Urss. Il discorso del 1946 di Winston Churchill tenuto nel Missouri conteneva una metafora destinata a diventare ben presto famosa: “Una cortina di ferro è calata attraverso il continente. Dietro quella linea si trovano tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa centrale e orientale…”. 6800 chilometri, tanto era lunga quella Cortina di Ferro a cui si riferiva Churchill, che partiva dal nord della Finlandia per giungere sulle coste del Mar Nero. Il confine era tracciato dalle frontiere degli stati satelliti dell’ex Urss: paesi militarizzati dai sovietici e finiti sotto la guida del comunismo. L’invasione tedesca del 1941 è ancora un incubo per i russi e mai più si sarebbe dovuta ripetere. Venti anni dopo, la costruzione del Muro e la divisione della Germania. Saltano ponti e collegamenti ferroviari. Le immagini sono quelle in bianco e nero entrate nelle pagine della storia contemporanea: il soldato Schumann che abbandona il suo mitra, e salta il reticolato da est a ovest; i Vopos (appartenenti alla Volskspolizei, erano i militari di guardia alla frontiera) a lavoro per erigere le barricate; le baracche e le torrette di sorveglianza; Check Point Charlie e l’East Side Gallery, la “Striscia della morte”, i parenti lasciati e le famiglie spezzate. Una vita a metà fatta di divisioni e contese, durata per più di 28 anni. Il vento riformista, la Perestrojka e la protesta anti-regime portarono alla svolta. La “Die Wende”, come la chiamarono i tedeschi. Fu così che il 9 novembre del 1989, il Muro fu abbattuto. In questa data della memoria, il ricordo di chi ha vissuto in prima persona quegli attimi. Claudio è un italiano che in quegli anni abitava proprio in Germania e può dire…”Io C’ero”. 

“Fu una sorpresa incredibile – racconta Claudio – dopo le dieci di sera, tutta la Germania era in piedi, le telefonate da una parte all’altra tra amici: un’effervescenza incredibile. Ero a Berlino e cominciavano ad aprire il muro e a far cadere alcuni settori. Io mi sono anche trovato a dover discutere con quelli dell’altra parte, quelli che stavano dietro i vopos. Era veramente il cambio di un’epoca, l’ho sentito dentro di me”. Tra le sue cose più care, Claudio conserva ancora oggi un cimelio di quel giorno. Si tratta di un pezzo di quella Cortina di Ferro. Un pezzo unico e originale. “L’ho trovato molto simbolico – mi dice emozionato – da un amico meccanico mi sono fatto dare delle tronchesi grandi e l’ho staccato. Ero vicino al Reichstag, dove oggi c’è il palazzo del Parlamento berlinese. Ma non solo. Ho anche con me i pezzi del Muro, pezzi autentici non souvenir. Li chiamavano i “picchi del Muro”, come gli uccelli. Armati di martello andavamo a picconare il Muro e a prenderci quella parte di cemento che sapevamo che faceva parte della Storia. La gente intorno urlava: “Wir sind das Volk” che significa “Noi Siamo il Popolo”. Era il loro slogan. “Wir sind das Volk”, “Wir sind das Volk”…non potrò mai dimenticarlo”.   


Oggi la bandiera tedesca sventola ancora sulla Porta di Brandeburgo. Berlino è una città viva che rispetta la propria storia. Ha preso le distanze dal nazismo ed è vietato ogni sua qualsiasi forma di riproduzione. C’è il museo ebraico, tra i più imponenti al mondo. Struggente e immenso. Immenso come il debito che la Germania (e una parte dell’Occidente, Italia compresa) ha nei confronti di un popolo e dell’intera umanità. Sono stato allo stadio, quello che fu costruito per le olimpiadi del 1936 che dovevano mostrare tutta la potenza del popolo tedesco. Le scritte inneggianti al Furher e al mito della razza sono state rimosse completamente. In quello stadio, la nostra Italia ha vinto il suo ultimo mondiale. “Il cielo è azzurro sopra Berlino”, si urlava dopo il rigore di Fabio Grosso. Quel cielo che accoglie il campanile del “Dente Cavo”, distrutto dalla guerra, e dove si perde il Berlin, la scultura simbolo della città e simbolo dell’abbraccio tra est e ovest. La vita di tutti i giorni, oggi, è scandita dal movimento: le biciclette, i ragazzi di Alexander Platz e le comitive sotto la torre della televisione. Le strade affollate con Unter den Linden e Tauentzienstrasse. Il Kadewe, con le sue specialità gastronomiche e i  tavolini del centro con wurstel e la birra con lo sciroppo. 

La caduta del muro di Berlino, però, non ha messo fine alle cosiddette Frontiere Blindate. Le divisioni e i confini sono ancora presenti e non solo nei pensieri e nelle mentalità, ma anche sul terreno. Ci sono in Europa, come in Asia e Medio-Oriente. Senza dimenticare,  quelle di casa nostra. 

Mirko Polisano

Berlino, Il Muro. East Side Gallery.

La scultura Berlin, che simboleggia la Berlino divisa di un tempo. 

Claudio e il "suo" Muro di Berlino.