mercoledì 23 febbraio 2011

LIBANO: AL CONFINE CON ISRAELE. SULLA BLU-LINE TRA MINE E CORAGGIO.

Le distese di bananeti e di uliveti fanno dimenticare per un attimo la guerra lasciate alle spalle. La fertile terra libanese, nel suo ventre, custodisce ancora gli orrori del passato. I 34 giorni dell’ultimo conflitto nel 2006 hanno lasciato sul terreno centinaia di migliaia di ordigni inesplosi. Un arsenale disseminato soprattutto nella parte meridionale del paese dove l’agricoltura è l’unico mezzo di sostentamento per molte famiglie. Secondo uno studio sugli effetti della guerra in Libano, effettuato dalla organizzazione Landmine Action, le perdite del settore agricolo, a causa delle bombe a grappolo, ammontano tra i 22 milioni e i 26 milioni di dollari perché con munizioni e ordigni disseminati non è possibile coltivare un campo. Il rischio di saltare in aria è troppo elevato, come già è accaduto 272 volte, facendo registrare 28 vittime, anche se negli ultimi due anni il numero di incidenti è stato ridimensionato, grazie al lavoro di bonifica e alla prevenzione.
Secondo le Nazioni Unite, sono sessantacinque i chilometri quadrati di superficie che devono essere ancora bonificati. Mine antiuomo e anticarro, ordigni inesplosi e frammenti di “cluster” sono sul terreno. Attori libanesi e internazionali si dividono il lavoro per ripulire le aree identificate: quelle colpite dalle “cluster bombs” spettano alle organizzazioni non governative, ai caschi blu della missione Unifil sono affidate le zone con mine antiuomo e anticarro. I maggiori interventi si concentrano a sud, lungo la Blue Line, pseudo-confine tra Libano e Israele, dove operano gli sminatori del 21esimo Reggimento Genio Guastatori di Caserta. Protetti da tute tanto pesanti da rallentare qualsiasi tipo di movimento, si alternano su un fazzoletto di terra nella zona di El Boustan alla ricerca di mine antiuomo e anticarro. Qualche ordigno risalirebbe alla fine degli anni ’70. «Le mappe del campo minato sono state fornite dagli israeliani alle Nazione Unite – spiega il capitano Emanuele Amicarella, impegnato nelle operazioni di sminamento all’interno della missione Unifil – ma le condizioni atmosferiche, i movimenti della terra possono modificare queste coordinate». Una eventualità da non trascurare. Una mina potrebbe essere stata segnata sulla carta, ma non ritrovata sul terreno. È un dispositivo fantasma, marcato dai militari con un paletto con un cappuccio bianco alto poco meno di un metro e conficcato nel terreno. Una volta identificato l’ordigno, si contatta il supervisore di campo per chiedere l’esplosione. Una procedura ripetuta tredici volte dagli inizi di maggio: tante sono le mine ritrovate dagli artificieri della “Brigata Garibaldi” da quando sono missione al di là del fiume Litani. Hanno reso sicura un’area di 500 metri quadrati. Sembra un gioco da ragazzi, dove tutto è calcolato, anche se non sono ammesse sbavature perché si rischia di saltare in aria, come è accaduto ai cinquantasette sminatori che hanno avuto incidenti sul campo. I team si muovono con lentezza, spostandosi ogni giorno di un metro più in là. Per bonificare questo fazzoletto ci vorrà ancora tempo. Forse, anni.

Pubblicato dalla rivista: “Comunicare il sociale”

Stefania Melucci, Giornalista embedded Napoli

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