martedì 16 agosto 2011

LIBANO, APPUNTI DI UN VIAGGIO...





Ogni viaggio che si rispetti ha bisogno di un suo bilancio. Lo fai quando rientri da una vacanza, da un’esperienza all’estero, da un qualcosa che per te è importante. Già dai primi giorni, ho capito che la percezione di questo paese è cambiata. E non solo dal punto di vista del reporter, dell’uomo, ma anche da quello degli internazionali e del popolo stesso, che da scettico inizia a vedere il bicchiere mezzo pieno. Nonostante il caldo che sfiora e, talvolta supera, i 40 gradi non rinuncio alla camicia…che dalla nascita non ho mai tolto. E’ soprattutto in questi momenti, quando ti accorgi che stai facendo il lavoro che hai sempre sognato, che capisci il senso di quell’espressione che in tanti ripetono e ti ripetono “sei nato con la camicia…”. Ma più che fortunato, mi ritengo privilegiato nel poter raccogliere storie e testimonianze di un popolo che sta cambiando e che vuole cambiare. Un sentimento, questo, che leggi nello sguardo delle persone, dei giovani, vivano questi in un villaggio cristiano-maronita, piuttosto che in una città musulmana. Leggi segnali che ti fanno capire quanto sia importante per loro, almeno questa volta, raggiungere lo stesso obiettivo. Che poi è lo stesso che vogliamo noi, al di qua del Mediterraneo. Dalle antiche rovine del porto di Tyro vedo il mare…e qualche italiano, che qui deve trascorrere altri, almeno, quattro mesi…si sforza nel voler vedere la Sicilia…solo per sentirsi più a casa. A me basta il mare. E va bene il rumore delle onde, per immaginarmi ad Ostia. Le distese degli agrumeti e i bananeti non sembrano soffrire il caldo quanto noi. Frutti maturi, che segnano il passo di un paese che vuole crescere e ricostruirsi. Consapevole di non poterlo fare nè senza un processo di pacificazione, né senza la speranza delle generazioni contemporanee e future che dovranno lottare perché ciò accada. Lottare nel senso più positivo del termine, vale a dire il “non arrendersi” a scelte e decisioni scellerate e “non arrendersi” all’idea - avuta fino a qualche anno fa - che la guerra fa parte del loro quotidiano. Non ho visto, come in passato, negozianti che rientrano a casa con la merce in vendita perché il giorno dopo c’è il dubbio della riapertura, non ho visto intolleranza, né disprezzo. Ma ho visto il dialogo, mai capitato per questa terra. Si, ho visto libanesi e israeliani sedersi allo stesso tavolo. Già questo può bastare. Inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Poi, ho trovato la vita di tutti i giorni, quella che va oltre la devastazione della guerra. Ho bevuto il thè con un sindaco di Hamal, ho assaggiato il caffè del comandante delle forze armate libanesi, che di una cosa è convinto: i segnali di pace ci sono e si vedono. L’ultima sera la passo con Hassan. È un professore di storia dell’arte. È musulmano e sta seguendo il mese del ramadan. Ha passato la sua giornata a fare lezione sotto il sole di agosto. Senza bere, né mangiare per tutto il giorno. Al tramonto, mi invita a cena. Finalmente, il suo primo bicchiere d’acqua. Educato, con uno stile impeccabile lo manda giù, come se non avesse sete. E io… che mi lamento del caldo e della mia camicia…


Mirko Polisano

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