sabato 9 novembre 2013

BERLINO, IL CROLLO DEL MURO 24 ANNI DOPO. DA CITTA’ DI FRONTIERA A PONTE D’EUROPA


Nel giorno dell’anniversario, tutto diventa ricordo. Era il 9 novembre del 1989, esattamente 24 anni fa, quando il muro di Berlino fu abbattuto. Non crollavano solo i pilastri di cemento, ma un modo di pensare che ha diviso una città, l’Europa e il mondo in est e ovest, oriente e occidente, Usa e Urss. Il discorso del 1946 di Winston Churchill tenuto nel Missouri conteneva una metafora destinata a diventare ben presto famosa: “Una cortina di ferro è calata attraverso il continente. Dietro quella linea si trovano tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa centrale e orientale…”. 6800 chilometri, tanto era lunga quella Cortina di Ferro a cui si riferiva Churchill, che partiva dal nord della Finlandia per giungere sulle coste del Mar Nero. Il confine era tracciato dalle frontiere degli stati satelliti dell’ex Urss: paesi militarizzati dai sovietici e finiti sotto la guida del comunismo. L’invasione tedesca del 1941 è ancora un incubo per i russi e mai più si sarebbe dovuta ripetere. Venti anni dopo, la costruzione del Muro e la divisione della Germania. Saltano ponti e collegamenti ferroviari. Le immagini sono quelle in bianco e nero entrate nelle pagine della storia contemporanea: il soldato Schumann che abbandona il suo mitra, e salta il reticolato da est a ovest; i Vopos (appartenenti alla Volskspolizei, erano i militari di guardia alla frontiera) a lavoro per erigere le barricate; le baracche e le torrette di sorveglianza; Check Point Charlie e l’East Side Gallery, la “Striscia della morte”, i parenti lasciati e le famiglie spezzate. Una vita a metà fatta di divisioni e contese, durata per più di 28 anni. Il vento riformista, la Perestrojka e la protesta anti-regime portarono alla svolta. La “Die Wende”, come la chiamarono i tedeschi. Fu così che il 9 novembre del 1989, il Muro fu abbattuto. In questa data della memoria, il ricordo di chi ha vissuto in prima persona quegli attimi. Claudio è un italiano che in quegli anni abitava proprio in Germania e può dire…”Io C’ero”. 

“Fu una sorpresa incredibile – racconta Claudio – dopo le dieci di sera, tutta la Germania era in piedi, le telefonate da una parte all’altra tra amici: un’effervescenza incredibile. Ero a Berlino e cominciavano ad aprire il muro e a far cadere alcuni settori. Io mi sono anche trovato a dover discutere con quelli dell’altra parte, quelli che stavano dietro i vopos. Era veramente il cambio di un’epoca, l’ho sentito dentro di me”. Tra le sue cose più care, Claudio conserva ancora oggi un cimelio di quel giorno. Si tratta di un pezzo di quella Cortina di Ferro. Un pezzo unico e originale. “L’ho trovato molto simbolico – mi dice emozionato – da un amico meccanico mi sono fatto dare delle tronchesi grandi e l’ho staccato. Ero vicino al Reichstag, dove oggi c’è il palazzo del Parlamento berlinese. Ma non solo. Ho anche con me i pezzi del Muro, pezzi autentici non souvenir. Li chiamavano i “picchi del Muro”, come gli uccelli. Armati di martello andavamo a picconare il Muro e a prenderci quella parte di cemento che sapevamo che faceva parte della Storia. La gente intorno urlava: “Wir sind das Volk” che significa “Noi Siamo il Popolo”. Era il loro slogan. “Wir sind das Volk”, “Wir sind das Volk”…non potrò mai dimenticarlo”.   


Oggi la bandiera tedesca sventola ancora sulla Porta di Brandeburgo. Berlino è una città viva che rispetta la propria storia. Ha preso le distanze dal nazismo ed è vietato ogni sua qualsiasi forma di riproduzione. C’è il museo ebraico, tra i più imponenti al mondo. Struggente e immenso. Immenso come il debito che la Germania (e una parte dell’Occidente, Italia compresa) ha nei confronti di un popolo e dell’intera umanità. Sono stato allo stadio, quello che fu costruito per le olimpiadi del 1936 che dovevano mostrare tutta la potenza del popolo tedesco. Le scritte inneggianti al Furher e al mito della razza sono state rimosse completamente. In quello stadio, la nostra Italia ha vinto il suo ultimo mondiale. “Il cielo è azzurro sopra Berlino”, si urlava dopo il rigore di Fabio Grosso. Quel cielo che accoglie il campanile del “Dente Cavo”, distrutto dalla guerra, e dove si perde il Berlin, la scultura simbolo della città e simbolo dell’abbraccio tra est e ovest. La vita di tutti i giorni, oggi, è scandita dal movimento: le biciclette, i ragazzi di Alexander Platz e le comitive sotto la torre della televisione. Le strade affollate con Unter den Linden e Tauentzienstrasse. Il Kadewe, con le sue specialità gastronomiche e i  tavolini del centro con wurstel e la birra con lo sciroppo. 

La caduta del muro di Berlino, però, non ha messo fine alle cosiddette Frontiere Blindate. Le divisioni e i confini sono ancora presenti e non solo nei pensieri e nelle mentalità, ma anche sul terreno. Ci sono in Europa, come in Asia e Medio-Oriente. Senza dimenticare,  quelle di casa nostra. 

Mirko Polisano

Berlino, Il Muro. East Side Gallery.

La scultura Berlin, che simboleggia la Berlino divisa di un tempo. 

Claudio e il "suo" Muro di Berlino.

sabato 26 ottobre 2013

LIBANO DEL SUD, BAHEBAK YA LUBNAN!

L’ultima immagine resta quella dello skyline notturno di Beirut. La capitale del Medio Oriente appare con il suo luccichio di led e colori. Ha un fascino che ammalia con le sue strade e i suoi vicoli racchiusi tra moschee e centri commerciali. È un’altra vita quella di questa città: qui tocchi con mano il lusso, i vizi e la ricchezza. Beirut ti confonde e allo stesso tempo ti appare nelle sue mille contraddizioni. Il crocevia tra est e ovest, il cuore pulsante dell’islam e la roccaforte maronita della cristianità, il suk di mestieri autentici e il negozio degli Ipad che in Europa ancora non si vedono. I locali della musica assordante e gli alberghi a “cinque stelle plus”. La vita che sfreccia e le autobombe che esplodono. È il paese dove sono stati pensati i dirottamenti aerei e dove è nato un certo tipo di terrorismo che ancora fa paura all’occidente. Il viaggio è scandito dalle tappe e dai momenti. Siamo nella “terra del latte e del miele”, così come è descritta nella Bibbia. Il benvenuto te lo dà l’hostess nel suo annuncio: “spero che la crociera sia stata di vostro gradimento. La compagnia vi augura un sereno soggiorno”. <<Mica andiamo a farci la vacanza!>>, risponde un capitano, seduto dietro di noi.  All’aeroporto, occorre mettere il visto sul passaporto. L’addetto alla sicurezza vuole sapere la mia destinazione. Poi, legge i documenti e quasi non ha dubbi. “Giornalista? Devi entrare in Siria”. Non è così. Scruta l’attrezzatura e ci lascia andare. È difficile lavorare qui. Nel nome della sicurezza si nascondono le vere criticità del sud del paese. Sidone è l’enclave sunnita e la sacca della resistenza di Hezbollah e Hamal, mentre il confine è sempre presidiato e per noi è  anche blindato: divieto assoluto per foto e riprese. Per molti qui, Israele è ancora “lo stato che non c’è”. La politica e la religione hanno percorsi che si intrecciano. Su una collina, c’è la tomba dello sceicco Abbad. Venerato e amato da musulmani. In quella stessa tomba, per gli ebrei c’è il rabbino Ashi. Il sarcofago è perfettamente diviso a metà e sullo stesso marmo si trovano a pregare libanesi, palestinesi e israeliani. Neanche i reticolati fanno più la differenza. È un ritrovarsi insieme sotto il segno di una tradizione abramitica che lega islam, ebraismo e cristianità. L’ultima controffensiva di Israele è dello scorso agosto con i missili lanciati nell’area di responsabilità dell’Onu. Il dialogo non decolla, ma l’economia è più forte della guerra. Le distese dei bananeti non rendono soldi al Libano: i frutti, seppur buoni, non rispondono agli standard europei e dunque non possono essere esportati. Troppo piccoli. In compenso, ci sono le arance che, chissà per quale giro, arrivano proprio da Israele. Il Libano è un paese che ti sorprende. Qui l’aspettativa di vita è superiore di quattro volte quella del vecchio continente. Anche uno scettico come me si è dovuto arrendere alla matematica dei dati che ci sono stati forniti. La politica sta attraversando la sua fase di responsabilità. Il primo ministro Najib Mikati ha rassegnato le dimissioni, ma il parlamento ha deciso di indire le elezioni per il 2014, a novembre. È stata una scelta bipartisan da parte di tutti i partiti per consentire un sistema elettorale migliore. Noi, in Italia ancora non ci siamo riusciti.
 La terra brulla, i cedri e le vallate a strapiombo sul mare stanno per diventare l’ennesimo ricordo. Sulla nave del ritorno, una soldatessa ammira il golfo di Tyro: <<Per un attimo, mi è sembrato di vedere il mio Vesuvio>>.

È vero. Già la respiriamo: è l’aria di casa. Siamo tornati.    

Mirko Polisano

Beirut di Notte

giovedì 17 ottobre 2013

DI NUOVO IN VIAGGIO...BUONA FORTUNA!

Tra poche ore, il decollo dell’aereo. Scrivo in quelli che sono gli ultimi minuti che mi separano da questa nuova partenza. È difficile fermare un’emozione. Ogni volta, la stessa. Come se fosse un profumo, uno di quelli che incroci per strada e ti ricorda una persona cara, un momento, un istante. La radio passa un pezzo di De Gregori che dice che la valigia è già fatta e “siamo pronti a qualsiasi cosa”. Basta una canzone per farti capire come, in certi momenti della vita, siamo concentrati a dare attenzione ai particolari, alle coincidenze. Crediamo possano essere eventi fortuiti e accidentali e ognuno trova le sue spiegazioni. Un segno, un caso, il destino. Te ne accorgi solo quando tutto è in gioco. O quando ti giochi tutto. Le abitudini diventano quasi scaramanzia: la stessa persona che ti accompagna in aeroporto, la camicia blu di ogni partenza, il messaggio dal terminal in quegli attimi che sembrano solo tuoi. Scene da amarcord come quelle di uno sportivo prima di una gara, quelle di un tifoso davanti al teleschermo o allo stadio prima della partita della Roma o del Napoli, quelle di uno studente prima di ogni interrogazione e di ogni esame. Poi, quando si rompe l’equilibrio immagini che tutto possa precipitare. E, invece, capisci che il destino è altro e le circostanze fanno parte di tutto questo. Allora, intraprendi questo nuovo viaggio con una percezione diversa: magari con più leggerezza nell’andare, ma sempre con il peso della responsabilità e la consapevolezza di quanto sia importante raccontare. Storie di altre “Terre Sante”, dove la storia e la fede si sono incontrate più volte. Fenici, romani, ottomani, fino ai giorni nostri. In questo mondo contemporaneo dove la lotta per il futuro passa anche dal Vicino Oriente. Sembra tutto così distante, come il sogno di uno spiraglio di luce per questo nostro mondo in crisi. Come la speranza della pace per questi popoli. Anche la pace è lontana, ma non per questo impossibile. Proprio come accade nel racconto di Gibran, dove il soldato, volgendo lo sguardo verso oriente, disse alla sua amata: <<Guarda, il sole sta sorgendo dalle tenebre>>.

Chiudi il libro e quasi ti ritorna la fiducia. È arrivato il momento di andare. È adesso che inciampo nel calendario. L’ultima superstizione della giornata.


Speriamo che questo 17 ci porti fortuna, almeno! 

Mirko Polisano

lunedì 30 settembre 2013

MONDO, BENVENUTO A QUESTO NUOVO VIAGGIO

Pico Iyer, grande giornalista e scrittore di viaggi, racconta che <<viaggiare è un po' come essere innamorati, perchè improvvisamente su tutti i sensi  c'è scritto "acceso. Quando viaggio, soprattutto nelle grandi città, la tipica persona che incontro è una ragazza che vive a Parigi e ha il padre coreano e la madre tedesca. Appena questa ragazza incontra un ragazzo che viene da Edimburgo, e ha il padre tailandese e la madre canadese, lo riconosce come suo simile. E si rende conto che probabilmente ha più cose in comune con lui che con chiunque altro in Corea o in Germania. Così diventano amici. E poi si innamorano. Si trasferiscono a New York. O a Edimburgo. E la bambina che nasce dalla loro unione non sarà nè coreana, nè tedesca o francese o tailandese o scozzese o canadese e neanche americana, ma sarà una meravigliosa combinazione, in continua evoluzione, di tutti questi posti. Il modo in cui questa ragazza sognerà il mondo, scriverà sul mondo e penserà al mondo sarà diverso, perchè nascerà da una mescolanza senza precedenti culture. Oggi, da dove vieni è meno importante di dove vai. Ma è solo fermando il movimento che puoi capire dove andare. Ed è solo facendo un passo indietro, dalla tua vita e dal tuo mondo, che puoi vedere quello a cui tieni di più e quindi trovare casa. Il movimento è un privilegio fantastico. Ci consente di fare cose che i nostri nonni non potevano neanche sognare di fare. Ma il movimento ha senso solo se c'è una casa a cui tornare. E la casa, in fin dei conti, non è il solo posto in cui dormi. E' il posto in cui stai>>.

Benvenuto a questo nuovo viaggio. Benvenute alle altre nuove storie che staranno per arrivare e che, spero, mi parleranno di amore, di un mondo migliore, di meravigliose culture. Perchè il movimento è davvero un privilegio fantastico. E poi, si torna sempre a casa.

Mirko Polisano

mercoledì 14 agosto 2013

LAMTUMIRE, ALBANIA! UN ALTRO PEZZO DI MONDO DA RACCONTARE...

Il viaggio, stavolta, parte li' dove l'Italia finisce. Quel pezzo di Levante che appartiene alla Puglia, ma che guarda ad oriente. Bari Vecchia e' ancora identica a quella descritta da Calvino: quella che non muore mai, quel "formicaio di cortili e cappelle, di madri e di comari", che e' piu' famosa per aver dato i natali ad Antonio Cassano, che per tutto questo. Figlia anch'essa di un paese, dove il calcio totalizza luoghi e persone. I muri del quartiere Murat nascondono i segreti di un tempo che non e' passato. Un giro da queste parti e' inevitabile per chi e' in attesa al vicino porto. Passiamo davanti allo stadio della Vittoria, qui il calcio non c'entra.E nemmeno i concerti dei Rockets e dei Duran Duran, che qui hanno registrato il tutto esaurito. La struttura passera' alla storia per essere quella che, nel 1991, ha ospitato i 20 mila profughi albanesi, arrivati sulle coste pugliesi, grazie a scafisti e gommoni. Le immagini dell'emergenza ancora le ricordiamo e non sono tanto diverse da quelle che ho visto in Sicilia, fin dai primi mesi dell'esplosione della "Primavera Araba". Il tragitto e' lo stesso, ma al contrario. Il mare di notte puo' far paura, anche se e' calmo come l'Adriatico. Dopo dodici ore, siamo a Durazzo. La storia e' passata anche per questa citta' in continua crescita, non lontano da qui Giulio Cesare e Pompeo si contendevano la provincia romana dell'Illiria. E c'e' molto di noi in questa Albania. Non solo per cio' che resta delle mire espansionistiche del Duce che riusci', perfino, a far chiamare uno di questi porti con il nome di Edda, in onore della figlia, ma anche perche' il mito italiano scorre in tv e nella musica, detta le regole della moda e anche un po' quelle della cucina. In molti parlano la nostra lingua, altra circostanza dovuta all'emigrazione: tutti hanno un parente che ha tentato la fortuna nel nostro paese. Sono di piu' quelli che sono tornati. Tani e' un profugo. Mi racconta della sua esperienza su al nord. A Bergamo, per la precisione. Montava i capannoni. Lo ha fatto per nove anni. Poi, il rientro nella sua Albania. "Era un lavoro massacrante - confessa - e i soldi che guadagnavo un po' li usavo per mangiare, il resto mandavo tutto a casa. Dopo tanti sacrifici, sono potuto tornare anche io". Oggi, fa il fotografo per matrimoni e si e' aperto un internet cafe'. Ama la sua Albania e difende l'isola di Corfu': "e' nostra - ammette - non della Grecia", anche se gli ricordo che prima ancora era italiana. Anche Theodore e' rimpatriato nella sua terra. Lui e' molto giovane. Di anni ne ha 23 anni, di cui 18 passati nel nostro paese. E' un nome non comune da queste parti, gli dico. "Mio padre e' un intellettuale. Uno scrittore e un poeta. Ama la letteratura russa, ecco perche'". Dall'Italia e' scappato, Theodore: "lavoravo nel campo dell'edilizia come muratore. Il problema era il pagamento, dovevi rincorrere le persone e gli stipendi si accumulavano di mese in mese". Nella sua Tirana, invece, oggi sta bene. Grazie al suo italiano imparato a Reggio Emilia, e' impiegato in un call center per conto di una societa' di Torino, che qui ha spostato le sue basi operative, sicuramente a fronte di un risparmio di tasse. L'Albania e' un paese dalle tante speranze, dove il nazionalismo e' cosi' forte che non mancano palazzi e negozi, uffici e abitazioni che non espongano la bandiera con orgoglio. L'aquila a due teste e' diventata anche un brand commerciale: non bastava tatuata con fierezza su schiene e braccia, ora la puoi trovare su magliette e scarpe. Su cappelli e palloni da calcio. E' il simbolo di una nazione che non dimentica i suoi eroi, Schanneberg sopra tutti. L'Albania e' un paese dalle tradizioni antiche, dove la superstizione e' ancora forte ed e' per questo che ai balconi non possono mancare teste d'aglio e bambole appese. La sera l'elettricita' manca e l'acqua non e' ancora potabile, ma la fiducia e' tanta. Quella necessaria per ripartire, dopo venti anni di uno solo al governo. Sali Berisha, capo del centro-destra nazionale, ha perso le elezioni del giugno scorso.E' stato proprio lui a dominare la scena della politica albanese post-comunnista dagli inizi degli anni '90 ad oggi, ed oggi e' la gente ad aver scelto. Ora, le aspettative sono tutte per Edi Rama, che mira a portare l'Albania in Europa, anche se Bruxelles non e' proprio convinta. Qui, i bambini giocano ancora per strada, con qualche pallone rimediato.

Guardi l'orizzonte e sogni l'Italia come l'hanno sognata in tanti da queste parti. Non e' poi cosi' lontana. L'ultima onda si infrange sullo scoglio. Il mare e' lo stesso che bagna la nostra costa.

"Quel mare che non ha paese", come diceva Giovanni Verga, e che e' di tutti quelli che "lo stanno ad ascoltare". Al di qua o al di la' del Mediterraneo. 



Mirko Polisano




Albania, la bandiera con l'aquila bicipite sui palazzi





Albania, bambole appese ai balconi per superstizione.

mercoledì 31 luglio 2013

ISLAM E EBRAISMO, QUANDO LA PACE E' POSSIBILE...

"Sa come rinascere dalle ceneri, il mio Paese. Forse avete dimenticato che lui è il creatore della fenice?”

Mushil Al Ramni  è un intellettuale iracheno. Si è schierato senza mezzi termini contro l’inferno della guerra. Argomento più che mai di attualità, oggi, con la Siria ancora in crisi. I percorsi di pacificazione sono sempre lunghi e tortuosi. Specialmente nel vicino oriente, dove ci sono tanti ostacoli e, soprattutto, muri che, nel nome di una "Terra Santa", separano musulmani da ebrei, ma si possono scorgere anche alcuni segnali incoraggianti. Ne parliamo con l’Imam della comunità musulmana di Roma. Arriviamo alla Grande Moschea della Capitale, la più grande di tutta Europa, opera dell’architetto Paolo Portoghesi, che sorge tra i Parioli e l’Acqua Cetosa. Il centro, voluto fortemente, dall’allora governo Andreotti in accordo con l’Arabia Saudita, è luogo di preghiera, ma anche di incontro e di studio. Punto di unione di culture e di mondi lontani, ma in realtà solo apparentemente. L’entrata centrale richiama il disegno di piazza del Campidoglio a Roma, eccolo un primo segnale di integrazione e convivenza tra popoli e paesi. Ahmed El Sakka è l' Imam della Moschea di Roma. Parla anche di rispetto e convivenza l’Imam e di rapporto con il popolo italiano. "La libertà di religione è fondamentale - dice - e i tanti centri islamici aperti in tutta Italia ne sono la testimonianza di un paese accogliente e aperto al dialogo"Sullo stesso principio di rispetto inter-religioso punta la comunità ebraica di Roma. Anche la Sinagoga che sorge all’Isola Tiberina è tra i Tempi Maggiori più grandi d’Europa, visibile da ogni punto panoramico della città. 

La storia della Sinagoga è fatta di due visite che segnano il passo con i tempi: quella di Giovanni Paolo II nel 1986 e quella del suo successore Benedetto XVI nel gennaio di tre anni fa. Ma è fatta anche di un attentato dell’ottobre del 1982 in cui, per mano di un commando palestinese, morì un bambino di due anni e rimasero ferite 37 persone. Per gli ebrei romani il Tempio rappresenta, oltre che un luogo di preghiera, un fondamentale punto di riferimento culturale ed ospita il Museo Ebraico di Roma. Incontriamo Claudio Procaccia, il direttore dei Beni Culturali del Museo e con lui parliamo di storia e di pace. Shalom, in ebraico."Gerusalemme - afferma Procaccia - ha la stessa radice di Shalom, pace, appunto. Questo significa che per l'ebraismo, l'elemento di pacificazione tra i popoli è un elemento chiave. Come è chiave l'elemento della solidarietà". 

Dio ci ha dato molte culture, molti linguaggi, ma un solo mondo dove vivere insieme. Un mondo che diventa sempre più piccolo, ogni giorno. La pace non può neanche essere qualcosa di imposto attraverso organismi internazionali. Anche qui, al massimo, significherebbe solo coesistenza obbligata. La pace vera è, invece, altra cosa, è tolleranza, è soprattutto RISPETTO. 

Come diceva Kant, la Pace non può essere semplicemente mancanza di guerra.

Mirko Polisano

giovedì 27 giugno 2013

CRONACHE DAL MONDO, TERMINA LA SECONDA EDIZIONE...MA LA MISSIONE CONTINUA

Siamo arrivati alla conclusione di queste “Storie” che ci hanno accompagnato per un anno intero. Siamo arrivati al capolinea di questo viaggio, che ci ha fatto girare tanto, incontrare persone, stringere una mano, accennare a un sorriso con quello spirito da "uomini buoni", che fa parte di noi. Cercando di comprendere, così gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi e le loro tragedie. E di diventare subito, fin dal primo momento, parte del loro destino…

Siamo partiti dalla calda e sterminata Tunisia, a pochi mesi dalla Primavera Araba che un vento di cambiamento avrebbe dovuto portare. Il Magreb, i suoi tramonti, i colori del mercato e quel mare navigato da Romani, Saraceni e Cartaginesi…i giovani e la loro voglia di cambiamento…

I Balcani e le terre divise. Ortodossi e musulmani che parlano di rispetto e una scuola cattolica, dove suor Amanda insegna tutte le materie…tranne una: religione…

In Bosnia, dove la speranza e la fede non ti lasciano. Esistono davvero posti nel mondo dove soli non si è mai. Medjugorie è uno di questi. Un luogo di pace. Una collina impervia, fatta di spiritualità, emozioni e amore. Come quello di Francesco e Maria, la prima volta insieme a pregare…di solito si alternavano di anno in anno… colpa della crisi…Davide sottratto alla droga e oggi al servizio di una comunità religiosa. E poi c’è Eugenio… che adesso ci guarda da lassù…

Siamo andati tra le rovine de L’Aquila e quel che resta di una città abbattuta dal terremoto. Poi la gente, che ha pagato "con i propri debiti e non con i propri soldi": Marzia, Maurizio e Leò, primo e unico bar aperto dopo il sisma. Ivana, 87 anni e 8 figli. Vive in una New Town, una di quelle volute da Berlusconi, ma vuole tornare a casa sua. E poi, quel biglietto, che forse è ancora lì. Forse, no. 

Siamo volati al Belfast per raccontare la guerra dimenticata. A tu per tu con un ex combattente dell’Ira, 57 anni di cui 22 in carcere e siamo stati in mezzo alla strada a giocare a pallone con i figli di questa pace imperfetta. Arriva Bono e gli U2: “Per quanto tempo ancora dovremmo cantare questa canzone?”.

La storia che ti passa davanti: con Benedetto XVI che va via e la nostalgia inenarrabile di Piazza San Pietro. La stessa piazza che diventa un tripudio di colori e suoni nel giorno del primo angelus di Papa Francesco

La neve di Birkenau, nel giorno della Memoria. 68 anni dopo… e l’incontro con quegli occhi che non potrò mai dimenticare. Me lo disse sotto la neve, con il freddo…un biglietto scritto in cirillico che ancora conservo. E’ il suo appello: bisogna continuare a raccontare.

Eccolo, il messaggio o il destino che ritorna. Cambiare direttamente le cose, no; influire sulle coscienze degli uomini, quello si.

Al di là di ogni luogo, è questa la missione che deve continuare…

 Mirko Polisano


“Niente è brutto come la guerra…”


E. Hemingway, Addio alle Armi.