domenica 6 aprile 2014

L'AQUILA, IL RICORDO E' UN MODO DI INCONTRARSI

Kierkegaard sosteneva che ci vuole più coraggio per dimenticare che per ricordare. Ma per questa storia tutta italiana ci vuole coraggio anche per ricordare. Perché se sono passati cinque anni e troppo poco è stato fatto finora, allora subentra un altro sentimento: la vergogna. Anche cinque anni fa era una notte di domenica e a quest’ora L’Aquila era ricordata più per ospitare le spoglie di Celestino V che per le macerie che di lì a poco sarebbero arrivate. Come la scena finale di un film in cui un’esplosione crea il nulla intorno. Nietzsche chiamava cattivo chi aveva lo scopo di incutere la vergogna. Se così fosse, cattiva è la politica: quella delle mazzette e della corruzione, quella che non ha saputo gestire l’emergenza, quella che ha creato ghetti e alienato persone; quella che richiama i grandi nomi, siano questi architetti per un auditorium o capi di stato pronti a farsi fotografare tra le macerie con il caschetto giallo in testa. La madre dei “presidenti operai” è sempre incinta. È questa la vergogna a L’Aquila, cinque anni dopo. E’ in queste occasioni che sono convinto che l’Italia assomiglia ad un tandem: per una parte del paese che non pedala, ce n’è un’altra che va più forte. È quella degli aquilani che nel giro di pochi mesi hanno ripreso in mano la propria vita: persone come Maurizio che sotto il forte spagnolo ha riaperto il suo nuovo chalet e lo ha chiamato la “Fenice” proprio perché come la leggenda dell’uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri; oppure come Leò il primo bar aperto a L’Aquila dopo il sisma; o ancora come le sorelle Nurzia che non hanno mai smesso di lavorare il torrone. Marzia che sul muro del suo locale ha una scritta che ti colpisce: “non so che succederà…ma noi ce la faremo”. La dignità di chi vive ancora nei moduli abitativi, nelle finte case già arredate e volute dal governo Berlusconi; di chi chiede verità per la Casa dello Studente e di chi porta ancora quella sana rabbia nel vedere palazzi, chiese e monumenti imprigionati dai ponteggi. È questo il coraggio a L’Aquila, cinque anni dopo. Ogni volta che torno a L’Aquila è un tuffo nel passato e, allo stesso tempo, è una nuova scoperta. Ricordo Coppito e Onna, nella mia prima missione da “embedded” e la tensione che ancora si respirava pochi giorni dopo la scossa. Ricordo l’entusiasmo durante il G8,  le straordinarie misure di sicurezza e quei cartelli “Yes we camp” che facevano il verso allo slogan di Obama…per poi apprendere che gli unici a non mantenere le promesse sono stati proprio gli Stati Uniti d’America. Ricordo il rumore dei passi dei soldati nella zona rossa e quelle frasi su un muro che è diventato una bacheca da tutto il mondo: “L’Aquila, no disaster for ever. God bless you!”. Il dio è quello di tutti. L’Aquila è la città di tutti.

Di tutti gli italiani che fanno dimenticare la vergogna e ricordare il coraggio. 


Onna, Aprile 2009

Coppito, Aprile 2009
A L'Aquila, Aprile 2009




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