lunedì 27 gennaio 2014

SHOAH, LA MEMORIA E' LA NOSTRA SALVEZZA

La memoria non può essere solo quella di oggi. Deve essere quella di sempre e quella di tutti. Non dico di fossilizzarsi, ma di riflettere quando si può. Ho sempre provato un certo fastidio per i luoghi comuni e per gli eventi spot. Come la beneficenza a Natale o come la festa della donna. E non possiamo permettere che giornate come quella di oggi rischino di avere lo stesso percorso. Perché così diventa una memoria fine a se stessa fatta di Schinderl’s List e di Anna Frank: indispensabili capolavori, ma che non possono essere esclusiva metafora del male assoluto. Essere ad Auschwitz e Birkenau proprio il 27 gennaio è uno dei regali che ho ricevuto da questo lavoro. È lì che ho incontrato Petro Mischtschuk, sopravvissuto ucraino scampato alla follia del campo di concentramento. Mi lasciò un biglietto scritto in cirillico, che ancora conservo. Voleva che continuassimo a fotografare, a riprendere…a raccontare. Per molti, oggi, la paura più grande sembra essere proprio questa: che la memoria si tronchi. In tanti chiedono di cosa sarà quando andranno via anche gli ultimi testimoni.  Se esiste questa paura è perché, forse, già sappiamo la risposta. L’avremmo dovuta già imparare da Nabucodonosor con le sue deportazioni degli ebrei nelle terre babilonesi, l’avremmo dovuta imparare già da Alessandro Magno che vietò lo Shabbat, i sacrifici al tempio e proibì la diffusione dei libri sacri. L’avremmo dovuta già imparare dall’imperatore Claudio che cacciò gli ebrei da Roma e l’avremmo dovuta già imparare anche da Tito che bruciò il tempio a Gerusalemme e per segnare il trionfo fece innalzare quell’arco che porta il suo nome e che ancora è lì, accanto al Colosseo. Se è così, non vorrei che la storia sia maestra di vita. Perché forse Auschwitz c’è sempre stata e rivive ogni volta che è la volta di un genocidio, di una discriminazione, di un pregiudizio. Auschwitz rivive a Srebenica nei Balcani. Auschwitz rivive a Meje in Kosovo. Auschwitz rivive nelle teste di maiale davanti alla Sinagoga. Auschwitz rivive ogni volta che sentiamo parlare di “tutti questi zingari”, “di tutti questi negri” e “di tutti questi ebrei”. E’ quella la più bassa percezione del razzismo che incontriamo al bar, in treno, e anche in certi politici. E purtroppo non ci indigna come dovrebbe. Questa è anche la storia di una classe di bambini di terza elementare e di una maestra che per rispetto nei confronti di un nostro compagno ebreo ci fece provare la merenda con  il pane azzimo. Oggi poteva finire su qualche giornale, e invece ci ha formato come uomini migliori. Ed è stata, per noi, la più importante lezione di storia.   

Mirko Polisano
Brandello di stoffa nella bandiera israeliana che sventolava a Gerusalemme

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