L’ultima immagine resta quella
dello skyline notturno di Beirut. La capitale del Medio Oriente appare con il
suo luccichio di led e colori. Ha un fascino che ammalia con le sue strade e i
suoi vicoli racchiusi tra moschee e centri commerciali. È un’altra vita quella
di questa città: qui tocchi con mano il lusso, i vizi e la ricchezza. Beirut ti
confonde e allo stesso tempo ti appare nelle sue mille contraddizioni. Il crocevia
tra est e ovest, il cuore pulsante dell’islam e la roccaforte maronita della
cristianità, il suk di mestieri autentici e il negozio degli Ipad che in Europa
ancora non si vedono. I locali della musica assordante e gli alberghi a “cinque
stelle plus”. La vita che sfreccia e le autobombe che esplodono. È il paese
dove sono stati pensati i dirottamenti aerei e dove è nato un certo tipo di
terrorismo che ancora fa paura all’occidente. Il viaggio è scandito dalle tappe
e dai momenti. Siamo nella “terra del latte e del miele”, così come è descritta
nella Bibbia. Il benvenuto te lo dà l’hostess nel suo annuncio: “spero che la crociera sia stata di vostro
gradimento. La compagnia vi augura un sereno soggiorno”. <<Mica andiamo a farci la
vacanza!>>, risponde un capitano, seduto dietro di noi. All’aeroporto, occorre mettere il visto sul
passaporto. L’addetto alla sicurezza vuole sapere la mia destinazione. Poi,
legge i documenti e quasi non ha dubbi. “Giornalista?
Devi entrare in Siria”. Non è così. Scruta l’attrezzatura e ci lascia
andare. È difficile lavorare qui. Nel nome della sicurezza si nascondono le
vere criticità del sud del paese. Sidone è l’enclave sunnita e la sacca della
resistenza di Hezbollah e Hamal, mentre il confine è sempre presidiato e per
noi è anche blindato: divieto assoluto
per foto e riprese. Per molti qui, Israele è ancora “lo stato che non c’è”. La politica e la religione hanno percorsi
che si intrecciano. Su una collina, c’è la tomba dello sceicco Abbad. Venerato
e amato da musulmani. In quella stessa tomba, per gli ebrei c’è il rabbino
Ashi. Il sarcofago è perfettamente diviso a metà e sullo stesso marmo si
trovano a pregare libanesi, palestinesi e israeliani. Neanche i reticolati
fanno più la differenza. È un ritrovarsi insieme sotto il segno di una
tradizione abramitica che lega islam, ebraismo e cristianità. L’ultima controffensiva
di Israele è dello scorso agosto con i missili lanciati nell’area di
responsabilità dell’Onu. Il dialogo non decolla, ma l’economia è più forte
della guerra. Le distese dei bananeti non rendono soldi al Libano: i frutti,
seppur buoni, non rispondono agli standard europei e dunque non possono essere
esportati. Troppo piccoli. In compenso, ci sono le arance che, chissà per quale
giro, arrivano proprio da Israele. Il Libano è un paese che ti sorprende. Qui l’aspettativa
di vita è superiore di quattro volte quella del vecchio continente. Anche uno scettico
come me si è dovuto arrendere alla matematica dei dati che ci sono stati
forniti. La politica sta attraversando la sua fase di responsabilità. Il primo
ministro Najib Mikati ha rassegnato le dimissioni, ma il parlamento ha deciso
di indire le elezioni per il 2014, a novembre. È stata una scelta bipartisan da
parte di tutti i partiti per consentire un sistema elettorale migliore. Noi, in
Italia ancora non ci siamo riusciti.
La terra brulla, i cedri e le vallate a
strapiombo sul mare stanno per diventare l’ennesimo ricordo. Sulla nave del
ritorno, una soldatessa ammira il golfo di Tyro: <<Per un attimo, mi è sembrato di vedere il mio Vesuvio>>.
È vero. Già la respiriamo: è l’aria
di casa. Siamo tornati.
Mirko Polisano
Beirut di Notte |
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