Cracovia (Polonia)- Arrivammo a Cracovia di mattina presto. Gennaio di qualche anno fa. Inverno rigido, strade impraticabili e neve. L'aeroporto era molto distante dal centro città, dove alloggiavamo. Un mini bus mezzo ammaccato ci avrebbe dovuto portare a destinazione per pochi zloty, l'euro ancora era un miraggio. Metà del viaggio e un gran rumore ci sveglia dal sonno ripreso dopo un'alzataccia alle cinque di mattina. Abbiamo bucato sull'autostrada. Il conducente non si perde d'animo e tra le auto che sfrecciano cambia in pochi minuti la gomma. Si riparte. Sosta in albergo (chiamarlo così è un parolone) e poi in giro per sentire gli umori della gente e iniziare a scoprire questa città da raccontare. Non siamo in grado di stare tanto a lungo al freddo e troviamo riparo in un pub: due birre e due cheeseburger. Dopo un pomeriggio di riprese, andiamo a cena con Maria e Mirko, i nostri contatti che ci accompagneranno in questo reportage. Si mangia presto. L'appuntamento è alle sette in uno dei più rinomati locali del centro. Carne alla griglia e una serie di specialità polacche. <<Dovete assaggiare tutto>>, ci dicono. Maria ha con sè un dizionario polacco-italiano che le suggerisce qualche parola che non sa dire o che non conosce. Grazie a loro, prendiamo appuntamento con una guida italiana che lavora nel campo di concentramento di Auschwitz. Riusciamo ad accordarci per il nostro reportage. L'indomani, infatti, sarà il 27 gennaio l'anniversario della fine della Shoah. Lavoriamo senza sosta e riprendere, girare e intervistare in quei luoghi fa cadere anche quella barriera di distacco che - solitamente- si deve creare tra noi e le Storie che raccontiamo. Testimonianze uniche che resteranno nel nostro vissuto di uomini, prima che di giornalisti e reporter. Abbiamo sete di conoscenza. Per caso - come nascono le migliori notizie- ci imbattiamo in un personaggio. Eligio, ex fotografo finito a organizzare viaggi con le scolaresche di Latina e Formia. Ha organizzato una visita alla città di Oswiecim (il nome originale polacco di Auschwitz) per la solenne cerimonia della Giornata della Memoria prima nel centro cittadino, poi a Birkenau. Cerchiamo di convincerlo a portarci con lui. Non possiamo perdere l'occasione. Neanche a farlo apposta il suo albergo è vicino al nostro, tanto da poterlo raggiungere a piedi. Loro partono presto, ma per noi non è un problema. Altra sveglia all'alba. Siamo su quel pullman circondati da un'orda di studenti che fanno a gara per accaparrarsi gli ultimi posti. Incontriamo il sindaco di Auschwitz, tanti sopravvissuti, finchè sulla spianata non compare lui. Un dissidente ucraino. Si presenta con il pigiama a righe che indossava quando era prigioniero di Birkenau. Tutto quello che abbiamo visto, raccolto lì fa parte del racconto giornalistico e mi risulta davvero difficile - per emozione e dignità di contenuti- riportarlo in questo breve "back stage". Si fa notte, la scolaresca è andata via e noi non sappiamo nemmeno come tornare. Ci fermiamo ad una fermata dell'autobus e Attilio, un italiano conosciuto per caso ci indica la linea giusta per arrivare in stazione. Mirko e Maria ci danno appuntamento nel teatro principale di Cracovia. Siamo stati invitati dalla Provincia a vedere uno spettacolo. Arriviamo stanchi e in ritardo. Ci sediamo dove capita e non sapendo la lingua già vogliamo scappare. Non si tratta di una commedia teatrale, bensì di una serata di cabaret. E' polacco, si ma non sappiamo come ridiamo anche noi pur non capendo nulla. Alla fine da "giornalisti" siamo invitati alla cena di gala riservata alle autorità. La presidente della Provincia è entusiasta e ci accoglie con grande affetto. Il buffet è a base di zuppe. Due varietà: alla carne o ai funghi. Roberto, il cameraman partito con me, storce un po' il naso. Ma dopo tutto quello che abbiamo visto, sentito, toccato con mano non possiamo certo darla vinta a qualche capriccio da viziati. Si dorme poche ore. Di notte siamo già in viaggio verso l'aeroporto. L'indomani mattina a Roma abbiamo un'ultima intervista. Siamo veramente stanchi. Roberto è sempre meno propositivo. <<Ah Polisà bbasta!>>. Ovviamente l'abitazione dove dobbiamo recarci è all'uscita della metro opposta a quella scelta da noi. Percorriamo tutta la circonferenza di piazza Vittorio. Marisa è un'insegnante in pensione. La sua storia ci colpisce come e più di quelle degli altri. In meno di 72 ore, avremmo dormito poco più di quattro ore di fila per notte. Ritorniamo a casa, finalmente e guardiamo tutto il materiale. Un lavoro che ci ha sicuramente arricchito come uomini più che come professionisti.
Un viaggio senza il quale, forse, oggi non saremmo gli stessi.
Mirko Polisano