Farah (Afghanistan)- Le montagne segnano il profilo di questo territorio. Avvolte da quella che può sembrare una fitta nebbia, in realtà è sabbia. È polvere. Ti guardi intorno, pronto a raccogliere storie che sembrano tutte uguali, che parlano di uomini che non hanno paura di sacrificare se stessi. Poi, da lontano vedi arrivare un bambino. È in braccio al padre e bussa alla porte della base. Le perquisizioni di rito, e la visita in infermeria. Così ho conosciuto Hamidullah. Quella di Hamidullah è una storia che ti resterà dentro. Perché parla di un bambino di cinque anni, figlio di questo paese, della guerra e della povertà. Cinque anni, forse. Perché qui in Afghanistan, l’anno si riesce più o meno a recuperarlo, il giorno e il mese di nascita è a dir poco impossibile. Così accade per Amir, che non si sa neanche se è il padre di Hamidullah o per Abdullà, un presunto zio. Insomma, nessun documento, anagrafe zero e l’ultimo censimento risale alla fine degli anni ’70 e fu fatto dai russi.
Hamidullah è arrivato in infermeria qualche mese fa con un piede ferito. Aveva una pietra conficcata nella pianta destra. La ferita ha fatto infezione e se non fosse stato per l’intervento dei medici militari italiani, non avremmo potuto nemmeno conoscerlo.
“Questa storia è una storia che tocca i sentimenti – mi dice commosso e allo stesso tempo entusiasta, Andrea Polo, il medico militare che ogni giorno visita Hamidullah- in un villaggio qui in zona abbiamo incontrato questo bambino e mi ha subito colpito il buco nel piede che, secondo me, è una visione emblematica della povertà, della miseria e dei danni della guerra nei confronti della popolazione infantile. Siamo convinti che aiutare Hamidullah, da una parte, significhi accendere una luce nuova su questa popolazione, che nemmeno il mondo sa che esiste…e aiutare questo bambino, almeno noi lo speriamo, è aiutare tutti i bambini dell’Afghanistan”.
Restava un altro problema, però, quello della schiena, dove era stata riscontrata una massa tumorale. Non si sa di che entità. Occorreva un intervento medico in Italia, e il reggimento dei Lagunari “Serenissima” ha fatto il tutto per agevolare le lunghe pratiche burocratiche italiane ed europee. Con la consegna dei documenti, era stato raggiunto un primo obiettivo. Poi, l'empasse. Dalla notte al giorno, la famiglia di Hamidullah ha lasciato il villaggio e la casa dove viveva. I talebani hanno minacciato il padre: "se ti fai aiutare dagli occidentali, è la fine". Da qui la fuga: le possibilità di Hamidullah di avere un futuro si sono dissolte nel nulla.
Io, Hamidullah e la sua famiglia |
È strano come lo sguardo di un bambino ti possa restare dentro. Non dimenticherò mai il volto di Hamidullah, che per me rappresenta tutto il mio Afghanistan. Racchiude l’espressione di un paese, anch’esso sofferente ma pieno di speranza. Quegli occhi ti restano dentro e quando vai via, non puoi far altro che pensarci e ripensarci.
Andrea è un medico straordinario e idealista ai limiti della follia, convinto che salvare il piccolo paziente, significa salvare tutti i bimbi e quindi tutti noi dalla pazzia della guerra. Gira il solito detto, che poi in tanti hanno riadattato un po’ per tutti i paesi dove la guerra si combatte con la vita, che recitava così: “noi abbiamo gli orologi…loro il tempo”. Chissà se anche Hamidullah avrà del tempo...
Mi piacerebbe incontrarlo di nuovo Hamidullah, magari proprio del suo paese. Ma non adesso. Tra venti anni, forse. Quasi come accade in una favola. Perchè significherebbe che è riuscito a farcela e soprattutto che è diventato grande. Ma non potrà essere così, purtroppo. Il finale "e vissero felici e contenti" non è stato scritto per chi vive in Afghanistan.
Mirko Polisano