Può una
non-guerra produrre una pace. Non c’è il punto interrogativo a questa non
domanda. Ma serve a dare un’idea della situazione Afghanistan. Difficile e
impervia come questo paese che vive le sue contraddizioni. Mille e infinite e
dove anche le parole perdono il loro senso. Qui dove la notte non è notte per
il fascio di luce delle brillanti stelle, dove la partenza non è mai un arrivo,
perché ti sposti di base in base, dove la terra non è ferma ma trema sotto gli
anfibi ogni volta che si esce. Uno stato che non è nazione, ma un insieme di
tribù. Antiche e secolari. Le donne che non sono donne e i bambini che non sono
più bambini. La giustizia è fatta di soldi, i diritti non sono quelli umani ma quelli
acquisiti dal potere. Un angolo lontano del mondo, anello di congiunzione tra
la Cina e l’Iran, tanto da ispirare il Grande Gioco di Kipling. I russi lo occupano, gli americani si
oppongono e armano i ribelli gli stessi ribelli che combattono l’invasione di
oggi degli americani con le armi degli americani. Assurdo, come una missione di
pace che però è fatta di fucili e mezzi blindati. Di linea del fuoco e di
mitragliatrici. Di droni e di copertura aerea. E’ difesa che però diventa
attacco. Le parole cambiano, si mimetizzano quasi. Hanno un altro senso. Anche
quelle di chi non ce l’ha fatta hanno sempre un sapore diverso e se ci pensi
anche più amaro. Giorgio se ne è andato a Kabul nel 2006. Il soldato buono:
voleva sorprendere i bambini del Kosovo portando dei cornetti, ma loro non
conoscevano né dolci, né colazioni… così Giorgio ritorna in quel villaggio e
stavolta con del pollo arrosto. Amava il mare e i bambini. Oggi al Bambin Gesù
c’è un macchinario che porta il suo nome. Un regalo di sua moglie Francesca.
Alessandro ripeteva sempre la solita frase a mamma Dora: “Ti prometto che
torno”. Parole al vento, quel vento che tante volte ha sfidato gettandosi con
il paracadute. La passione per il basco amaranto e i Metallica. Disinnescava
bombe, una di queste lo ha tradito. Francesco non voleva partire stavolta. Quasi
se lo sentiva. Il saluto all’ascensore, senza voltarsi e senza guardarsi
indietro. Da buon alpino. E’ ora di andare: Farah, Shindand, Bala Baluk. Nomi
impronunciabili e posti da cui non è tornato. Oggi la battaglia di mamma Rosa e
papà Gino è la ricerca della verità. David i libri li divorava. “Sull’amicizia
e sulla lealtà ci avrebbe puntato anche l’anima” proprio come nella famosa
canzone degli 883. Il suo sorriso e i suoi occhi rivivono in quelli di mamma
Annarita. Amava la filosofia e credeva in Dio. Quel maledetto giorno nel
deserto lontano da Bala Murghab gli hanno trovato un Vangelo. Lo aveva in
tasca.
Giorgio
Langella, Alessandro di Lisio, Francesco Positano, David Tobini e gli altri 49
caduti italiani dell’Afghanistan. Nessuno li ha mai raccontati così per quelli
che sono: uomini prima di essere soldati. Onori a loro. Figli e vittime di una non-guerra
che ha prodotto una non-pace.
Mezzo Militare in Afghanistan
Mirko Polisano
|